Winona Rider: "Adesso preferisco divertirmi"

Un film con Tim Burton, poi un ruolo difficile da moglie del killer: per Winona Ryder sembra un nuovo inizio. Ma lei non vuole più farsi prendere dall’ansia del lavoro.
A volte, mentre parla, sul viso le scorre una specie di tremore. Sorride molto, è gentile, cerca le parole come una studentessa insicura che ce la mette tutta per rispondere “bene”. E quindi fa simpatia la sua domanda tutta seria alla fine dell’intervista: «Ho detto cose che hanno un senso?». Se la facesse un altro sarebbe una frase qualunque, ma dietro a Winona Ryder ci sono anni di psicofarmaci, una condanna per furto ai grandi magazzini (oltre cinquemila dollari in abiti risarciti con 26 mila di multa e due mesi di lavoro in una comunità), abuso di alcol, una carriera brillante lasciata a metà, un cuore più volte spezzato (da Johnny Depp, soprattutto). Spiaceva, in questi ultimi anni, vederla in ruoli da viale del tramonto: la mamma del dottor Spock in Star Trek, l’étoile della danza classica già finita a 30 anni in Black Swan... Possibile che ci fosse solo questo per la non ancora 40enne Winona? No, infatti. Perché lei, che i 40 li ha compiuti l’anno scorso, è ancora la stessa ragazza pelle-perfetta-viso-di-bambola che tutte (le brune, almeno) volevano essere ai tempi di Schegge di follia, Edward Mani di Forbice o l’Età dell’innocenza («Uno dei pochi film per cui sono orgogliosa di me»). Non per caso Tim Burton l'ha scelta per dare voce nel suo Frankenweenie (appena uscito negli Usa, da noi il 17 gennaio) a una compagna di scuola del suo protagonista adolescente.

Contenta di lavorare di nuovo con Tim Burton, che la lanciò nel 1988 in Beetlejuice?
Per lui accetterei anche di leggere l’elenco del telefono, sono sicura che lo trasformerebbe in un capolavoro.

Ha accettato anche di lavorare per Ariel Vroman nel suo The Iceman (ai festival di Venezia e di Toronto) in un ruolo molto più duro.
Il film è ispirato alla storia vera di Richard Kuklinski, un killer dalla doppia vita. Lavorava per la criminalità organizzata e tra gli anni Sessanta e Ottanta uccise oltre cento persone, ma la sua famiglia era all’oscuro di tutto. Io sono sua moglie. Mi ha attratto l’ambiguità di questa donna: dopo l’arresto del marito ha sempre negato di sapere quello che faceva (e io, per prepararmi al ruolo, ho letteralemente strappato dalla sceneggiatura le pagine che non mi riguardavano); ma davvero puoi passare anni accanto a una persona, dormirci insieme e farci l’amore, senza capire chi è?

A lei non potrebbe capitare?
Non saprei. Quella raccontata nel film è una storia estrema, ma credo che a ciascuno di noi sia successo di avere un compagno, un’amica, un collega che all’improvviso si rivela diverso da come pensavamo. Basti pensare a certi politici: sembrano irreprensibili e poi li scoprono a rubare o a frequentare prostitute...

Sì, in Italia ne sappiamo qualcosa.
Non è l’unico aspetto sociale del film. Killer a parte, mi ha sempre interessato come nella nostra cultura sia “normale” che uno possa tornarsene sereno a casa dopo aver causato disastri con una sua decisione. E non mi riferisco solo agli ambienti criminali: penso al mondo dell’economia e della finanza in questo periodo di crisi, per esempio.

Che per lei, invece, sembra piuttosto fortunato dopo anni in cui l’abbiamo vista poco. Si era stancata?
Non proprio... Il lavoro non è più una priorità, per me. Sarà perché recito da quando avevo 12 anni, ma ho voglia di godermi la vita e dedicarmi ad altro.

Cioè a cosa?
Mi sono molto occupata di questioni legate alle riserve dei nativi americani, per esempio. Ma tutto ciò che è utile a vivere in modo più rilassato va bene. Non so come sia in Europa, ma in America la pressione sulle attrici è molto alta quando superi una certa età: come se tutti ti saltassero addosso a dirti “devi andare avanti”. E tu ci vai, avanti, anche se non sei convinta. Ma la vita è breve: e se non ti diverti, se il lavoro non ti dà niente in cambio, che senso ha?

Il tempo che passa la preoccupa?
Tutta l’insistenza sul fatto che non si deve invecchiare a me sembra pura follia: è anche questa parte dell’esistenza a renderci umani. Io ho sempre rifiutato l’idea che l’età sia qualcosa contro cui combattere. Anzi, le do il benvenuto. Una delle ragioni per cui mi piace la cultura dei nativi americani è il loro rispetto e la loro ammirazione per gli anziani.

Rimpiange i primi anni Novanta, quando era un’icona e le ragazze si vestivano e pettinavano come lei?
A me piaceva recitare e basta.

Farebbe scelte diverse, se potesse tornare indietro? No, anche se ci ho pensato molto. Sui set ho sempre conosciuto persone simpatiche con cui sono diventata amica: mi piace stare in mezzo alla gente. E qualunque film, bello o brutto che sia, fa di te la persona che sei.
http://www.iodonna.it/personaggi/interviste/2012/winona-ryder-intervista-40989499894.shtml