A Palazzo Chiablese di Torino una mostra esplora tutti gli aspetti della personalità della pittrice che ha percorso in modo avventuroso l’arte e la mondanità degli Anni 20 e 30
È davanti a una macchina fotografica. I capelli corti, le lacche, le mani curatissime, il collo nudo. È bella, ma non è quello. È lei, è solo lei, è Tamara de Lempicka, non ne esisterà un’altra. I suoi occhi non è detto che ti guardino. Capita anche nei suoi dipinti. I corpi ti offrono tutto, labbra rosse, braccia solide, sane, seni deliziosi o gambe forti, inguini luminosi, vestiti eleganti. Ma gli occhi quadrati, grandi, non ti guardano spesso. Sono altrove, soli, magnifici, incerti o finalmente felici. E se incrociano il tuo sguardo, è per chiedere; amore, quasi sempre, in tutte le sue forme, la maternità, l’intelligenza, il tormento. Qualche volta, invece, ti sfidano, ma è sempre desiderio, sono sempre incontri intensi e già perduti, immortali e alla moda, coi loro guanti di Hermès e le loro pettinature alla maschietta. È un paradosso, per Tamara, avventurosa e libera, ingorda, sconfinata; la sua vita ci sta tutta in quelle tele. Perché è una vita fatta di persone. Prime, le donne amate. Ira Perrot, che le fa scoprire Botticelli e i baci, Antonello da Messina e il momento in cui la pelle sente tutto. E poi la più eccitante e mora Rafaela, le palpebre chiuse dall’estasi, il corpo lussuoso. E Françoise Gilot, che rifiuta la sua corte, l’invasione di quelle altre braccia, ma le resta un’emozione. E poi un altro amore, altrettanto potente, quello per le Madonne, quello per una Madre Superiora di Parma che la consola, che ha dentro tutto il dolore del mondo, e si porta via anche il suo.
E le bambine. Kizette, soprattutto, la figlia trascurata e lontana, per il cui matrimonio Tamara si limita a organizzare un pranzo senza sfarzo a Beverly Hills; non aveva tempo. Tamara l’ha accudita quasi più dentro le tele che nella vita; nei suoi dipinti Kizette è cresciuta, è diventata grande. E poi ci sono gli uomini, amati anche loro. Forse in qualche profilo, sopra qualche sciarpa, c’è Marinetti, con il quale Tamara, nel 1924, vuole incendiare il Louvre e così tutto il passato, e forse se stessa, lanciandosi come una folgore dentro i cancelli, salvo scoprire che le hanno sequestrato l’auto in sosta vietata. E il bellissimo Tadeusz Lempicki, lo scapolo d’oro di Polonia, che Tamara conosce quando è solo una bambina. Lo sposa quando ha neanche diciotto anni, lo distrugge insieme alla figlia quando vive tra le prostitute e la cocaina, la valeriana e la depressione, negli anni Venti. Lui se ne va con un’altra donna e lei quasi impazzisce, è un vuoto troppo vuoto. Esistono tutti, nei dipinti di Tamara. Anche quelli che non si sa chi siano. Visti a una partita di polo, durante una cena di gala, disegnati per una pubblicità o affascinanti al parapetto di un piroscafo. Quelli che lei non ci ha mai detto chi sono davvero. Forse, portano gli occhi del ricco barone Kuffner, secondo marito, disponibile ad accettare e ricambiare le sue infedeltà e la vita negli alberghi. O gli occhi perduti di Boris Gurwik-Gorska, che non c’è mai stato, il padre di Tamara, che scompare forse suicida quando lei ha cinque anni. O quelli più allungati del diplomatico siamese conosciuto mentre sposa Tadeusz e amato subito al ritorno dal viaggio di nozze.
E poi Picasso, Cocteau, Gide, la Garbo. Quanti volti. Quanti occhi. Di Parigi, San Pietroburgo, Venezia, New York, Varsavia, Pompei, Hollywood, Cuernavaca. Le due guerre mondiali, i rischi e le tragedie per chi è ebreo. In quei dipinti, invece, non c’è D’Annunzio. Nel 1927, lei è al Vittoriale, ebbra tra i corridoi soffocanti e la nave Puglia. Lui vuole sedurla, lei dipingerlo. Nessuno dei due ci riesce. In fondo, perché è la stessa cosa. Amare, dipingere, esistere. O forse no, sono due cose diverse, anche per Tamara. Il colore, la geometria, la forma di una caraffa o le balze di un vestito verde, i capelli al vento e una mela hanno una dimensione, si possono imprigionare, salvare. Ma la vita no. La vita se ne va continuamente. Non si può possedere l’amore, si può solo viverlo, corpi di donne, corpi di uomini, tutto una meraviglia, tutto un dono, una tortura dolcissima. Non si può possedere la verità, e allora tanto vale mentire, ai propri dolori e alle proprie paure ma poi, con leggerezza, anche sulla propria data di nascita, e così indire un concorso pubblico per scegliere una modella ai suoi dipinti quando in realtà è già stata scelta, solo per farsi pubblicità. Tamara de Lempicka è glamour, la vita bella, i soldi, le donne che si pettinano come lei, si vestono e si travestono come lei. È che non si può possedere, soprattutto, la felicità, solo tre pacchetti di sigarette al giorno, i corpi dei bordelli umidi di Parigi, la musica di Wagner a tutto volume, tanti ricordi e tanti cappelli.
La mostra
Da oggi al 30 agosto, a Palazzo Chiablese di Torino, la mostra Tamara de Lempicka, promossa dal Comune di Torino - Assessorato alla Cultura, dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte e dal Polo Reale di Torino e prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore e Arthemisia Group. Curata da Gioia Mori, la mostra si avvale della collaborazione di Canale Arte e Trenitalia in qualità di sponsor tecnici e del sostegno di la Rinascente e NovaCoop. Il catalogo è pubblicato da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE. Info e prenotazioni: ticket.it/tamara; tel. +39 011.0240113. Biglietti: e 13-11. Orari: lun 14.30 - 19.30 | mar, mer, ven, sab, dom 9.30 - 19.30 | gio 9.30 - 22.30. Dopo la permanenza a Torino, l’esposizione (che presenta oltre 80 opere dell’artista, in un percorso tematico in 7 sezioni che analizzano altrettanti aspetti artistici) sarà a Budapest, all’Hungarian National Gallery. Sito: www.mostratamara.it; hashtag: #tamara.
http://www.corriere.it/cultura/speciali/2015/corriere-eventi/notizie/mille-versioni-tamara-c7a30f26-ce55-11e4-b573-56a67cdde4d3.shtml