Charlotte Gainsbourg: «No, domani non è un altro giorno»

A casa sua, giravano frasi molto rassicuranti. Lei però non ci ha mai creduto. Forse perché è timida, forse perché non osa. Forse perché la nuova storia che porta al cinema (un lutto che ti cambia, e da cui «non guarisci mai») è qualcosa che ha conosciuto molto da vicino
Non è difficile crederle quando dice: «Sono timida». E neppure quando aggiunge: «Come tutti i timidi, non vedo l’ora che qualcuno mi aiuti a esprimere quello che ho dentro, a rivelare il mio lato selvaggio». Il fascino di Charlotte Gainsbourg sta proprio lì, nell’energia che nasce da quell’implosione sotto la pelle. Non la vedi («La gente pensa che io sia un tipo tranquillo: si sbagliano») ma la percepisci.
Alla Berlinale, dove era stato presentato in anteprima il suo ultimo film, Ritorno alla vita di Wim Wenders, si era presentata con il consueto look da antidiva: niente trucco, niente tacchi, niente abiti eleganti. Non proprio disadorna come il suo personaggio, ma quasi. La storia che interpreta è, ancora una volta, drammatica. Kate è una donna sola, con due figli. Un giorno, uno dei bambini viene travolto da un’auto. L’uomo alla guida non ha colpa: in mezzo alla neve non poteva vederlo. Passano gli anni e ognuno di loro, compreso il figlio sopravvissuto, cerca un modo per andare avanti, per accettare la sofferenza come qualcosa che a volte a qualcuno di noi, senza una ragione precisa, tocca. E Kate, in qualche modo, ci riesce.
Dicono che il perdono aiuti a sopportare meglio il dolore. È d’accordo? 
«Sì, e credo che il mio personaggio sia molto saggio da quel punto di vista. La sua è una reazione spontanea. A volte si arriva a perdonare attraverso un processo volontario, per lei si tratta di una scelta naturale, non si sforza di riuscirci. Personalmente, credo che reagirei in modo più duro. Non sono altrettanto generosa, non possiedo lo stesso genere di bontà».
Essere madre ha influenzato il suo modo di entrare nella parte? 
«Non volevo immedesimarmi nella storia. Lo stesso quando ho recitato in Antichrist (film diretto da Lars von Trier, uscito nel 2009: l’attrice era una madre il cui figlio era morto accidentalmente, ndr). In entrambi i casi ho fatto il possibile per separare me stessa dal personaggio che stavo interpretando. Non volevo in nessun modo pensare ai miei figli (Ben, Alice e Joe, di 18, 13 e 4 anni, avuti dal compagno Yvan Attal con cui convive da quando aveva 19 anni, ndr)». 
Eppure raccontò di essere stata tormentata dagli incubi.
«Quel film parlava di streghe e mi ero messa a leggere storie in tema. E giravamo in aperta campagna. Tutto l’insieme era piuttosto terrorizzante. Ma anche molto coinvolgente. È stata la prima volta che ho potuto esprimere emozioni estreme. Essere autorizzata a perdere il controllo, per una come me, è stata una rivelazione. Sono timida, per cui faccio faticare a “osare”. Ci riesco solo se qualcuno sa come portarmi a farlo. Altrimenti mi manca il coraggio».




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