Suicidi annunciati su Facebook: dopo il caso di Sinéad O’Connor

La cantante irlandese ha annunciato su Facebook di volersi suicidare. Ed è stata salvata. Una richiesta d'aiuto, la sua, che "sfrutta" Internet per raggiungere più persone possibile. Perché così ha più probabilità d'essere soccorsa? Il problema è che in questo modo aumenta anche il rischio emulazione
Un grido d'aiuto lanciato su Facebook, con un lungo post. Così la cantante irlandese Sinéad O'Connor è stata salvata da un tentativo di suicidio, il 29 novembre. La polizia è riuscita in tempo a capire dove si trovava; l'artista è stata quindi portata in ospedale e ora "è sana e salva", hanno fatto sapere le autorità. Poco prima aveva scritto sul proprio profilo: "Le ultime due notti mi hanno distrutto. Mi sono fatta un'overdose. Non c'è altro modo per ottenere rispetto. Non sono a casa, sono in un hotel da qualche parte in Irlanda, sotto un altro nome. Finalmente vi siete sbarazzati di me".
La cantante, che nei primi anni Novanta, scalò le classifiche con "Nothing compares to you", pezzo di Prince che la rese celebre, non sta passando un periodo felice. In ottobre aveva annunciato di doversi sottoporre all'asportazione dell'utero, per un “problema ginecologico cronico”. La scorsa estate disse di voler chiudere con la musica e di sospendere ogni esibizione pubblica, perché uno dei 4 figli sarebbe gravemente malato.
Una sofferenza psicologica che si ripresenta "a ondate": nel 2007 la cantante aveva confessato nel salotto televisivo di Oprah Winfrey di soffrire di disturbo bipolare della personalità. Le cronache registrano anche un tentato suicidio nel giorno del suo 33esimo compleanno, l'8 dicembre 1999. E nel 2012, di nuovo, via Twitter, un'altra richiesta di aiuto a un gesto estremo: "Sono in grave pericolo". Si era appena separata dal marito, a 18 giorni dalle nozze. Ma perché tutto questo avviene sui social network?
“In passato, chi tentava il suicidio lasciava lettere, biglietti, note, fogli che talvolta si trovavano sempre dopo. Oggi che tutto è diventato virtuale si assiste sempre più frequentemente al fenomeno dei post lasciati sui social” spiega Maurizio Pompili, che dirige il Servizio Prevenzione Suicidio presso l'Azienda Ospedaliera Sant'Andrea di Roma. “Un cambio di prospettiva: il proprio scheletro viene lanciato nell'armadio di molti, piuttosto che di pochi, come succedeva in passato. Lo fanno perché hanno bisogno di aiuto. Sono richieste, anche se spesso generiche e poco chiare, anche se diffuse in tempo reale a molti. Nella speranza che qualcuno riesca a raccogliere il malessere, ma non è detto”.
“Le notizie sui social sono date in pasto ad amici virtuali, che certe volte non si conoscono neppure. Parlare del suicidio è qualcosa di molto intimo e spesso non si rivela neppure ai familiari più stretti: in questo caso, è diventata una tendenza dirlo al mondo intero, con un post”. Uno schermo del pc infonde più coraggio che dirlo apertamente. Dietro un monitor ci si maschera, ci si nasconde. “Colpisce che anche nelle situazioni più critiche, la persona mantenga la capacità di comunicazione: nonostante soffra, nonostante sia in un tunnel e non veda nessuna opzione se non il suicidio, mantiene la capacità di chiedere aiuto, di far conoscere la propria sofferenza” dice il dottor Pompili.
Sono circa 4mila gli italiani che ogni anno si tolgono la vita, secondo le stime del centro specialistico del Sant'Andrea di Roma. E il ricorso ai social network per lanciare i propri segnali di disagio “è un fenomeno ancora in via di accertamento, per questo non ci sono statistiche ufficiali” dice Pompili. Attenzione, però. Anche qui si annida il rischio emulazione, proprio come il suicidio in sé. Se lo fa la rockstar, lo posso fare anche io. “I social sono un canale talmente fruibile alla maggioranza di noi, che possono essere facilmente abusati: si lasciano post che si rilevano allarmi falsi, che però fanno scattare quelli veri. E quindi non si riesce a capire quando la situazione è di emergenza”. La prossima sfida della prevenzione ai suicidi sta nella nuova tecnologia: “Si tratta di creare software che entrino nella semantica dei post di chi frequenta i social network e decodifichino automaticamente il rischio di suicidio. Strumenti informatici che dovrebbero far giocare d'anticipo e far scattare l'allarme quando certe parole vengono usate” chiarisce l'esperto.
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