Proprio nei giorni in cui si celebra il quarantennale del festival di Woodstock, e cioè l’età dell’oro della musica come collante sociale, del trionfo di tutti i generi musicali, una poliziotta 24enne non riconosce l’interprete più famoso di quella straordinaria epoca, Bob Dylan. Che curiosamente non era presente a Woodstock ma che ha rappresentato per decenni e decenni l’immagine dell’artista più influente della seconda metà del ventesimo secolo.
Bod Dylan è stato il profeta, il poeta, per un certo periodo persino l’attivista che ha scritto la colonna sonora delle ultime generazioni, «e il cui Dna musicale è presente in ogni nota pop scritta dal 1962 in poi», come ha scritto un critico musicale americano. La giovane poliziotta del New Jersey, in assenza di documenti, ha trattato il cantante come un «losco figuro», «un vecchietto eccentrico». Poi, in albergo, di fronte all’identity card , ha avuto un soprassalto: almeno il nome le era noto. Certo, si può immaginare che la poliziotta Kristie Buble sia cresciuta con altri miti musicali, sia una fanatica del film «8 Mile», abbia sull’iPod tutta la collezione dei Coldplay e dei Green Day, ma è possibile che oggi un giovane non riconosca la più grande icona della musica leggera, non abbia mai visto il volto di un cantante che ha inciso una cinquantina di album e 500 canzoni, non abbia familiarità con un artista che da vent’anni gira il mondo con il suo «Never Ending Tour»?
Bob Dylan è un fenomeno di culto, nel vero senso della parola: c’è una comunità mondiale di dilanologi che segue ogni suo concerto, conosce a memoria ogni suo verso e ogni sua interpretazione, possiede l’intera collezione delle sue incisioni, «bootleg» compresi. Dylan, come in una versione più pop Michael Jackson, rappresenta una forma di immortalità terrena provvisoria. Nella vita esistono strade che fin dall’inizio mettono l’uomo di fronte a questa sagoma di perennità: sono le strade degli artisti, degli uomini di spettacolo, di sport, di quanti riescono a imporre la loro tipicità essenziale. Che consiste nel raggelare il reale con qualcosa di unico che per un determinato frangente ne arresti la continua mutazione. Il problema è: quanto dura questo determinato frangente? Molti anni per Bob Dylan, eppure una sera arriva il momento in cui, per inevitabili fattori generazionali, il suo volto non è più popolare come pensiamo.
Le popstar vivono della nostra sostanza e noi della loro; non più relegata nell’Olimpo, ai confini dell’umanità, la popstar fa il suo ingresso nella consuetudine domestica, pronta a svanire al primo refolo di vento, a essere ancora sostituita, in una metamorfosi senza fine. La loro immortalità non è «never-ending», ma a scadenza.
Aldo Grasso
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