Muse: The Resistance - Una recensione

Lo si può quasi vedere il piccolo Bellamy dei primi anni 80, appartenente a una generazione di bambini con la mente proiettata ai viaggi interstellari e all'esplorazione del cosmo. Lo siamo stati un po' tutti, e poteva forse essere diversamente per lui, con un padre autore di una hit come "Telstar" nel 1962, tra le prime a cavalcare l'euforia per le missioni spaziali? Corazzate Yamato, sceriffi delle stelle, cyloni e imperi romulani, odissee metafisiche, sale dei bottoni ed improbabili calcolatori, riferimenti evocati dal gruppo inglese attraverso l'oblò grafico di una collana economica Urania anni 70 ed esplicitati da una caleidoscopica copertina tra il vintage e il futuristico, perfetta sintesi di un album ricco di elementi che concorrono alla celebrazione di un immaginario epico e fantapolitico in verità mai assente dai loro album, ma che questa volta i Muse, liberatisi dalla fascinazione per le patologie più esotiche, riescono a comunicare con rinnovata varietà espressiva. Già, la varietà è la prima cosa che appare evidente all'ascolto dell'album, prima ancora della percezione di una certa coerenza di fondo che la possa giustificare. Accusati dalla critica di eccessivo barocchismo, talvolta definiti ridicoli, i Muse si sono privati di qualsiasi freno inibitore e, curando tutto da sè, hanno potuto dare pieno sfogo al proprio amore per la musica: rock sinfonico, progressive, produzioni di stampo yankee à la Timbaland, impagabili cori, francesismi, tastiere prese in prestito dal Robert Miles di metà anni 90, scale arabe, tantissimi Queen, Depeche Mode, persino la Callas, i System of a Down e uno Chopin contestualizzato in un ambiente post-nucleare in pieno clima Defcon 1, ma tutto ha – per quanto difficile a credersi – un suo perché, tutto crea uno spunto interessante, talvolta compiuto talvolta meno, che ne giustifichi la presenza oltre alla mera foga citazionistica. Composizioni in costante mutamento, curiose, a tratti deliranti, dei Muse a briglia sciolta, con la capacità tecnica e melodica per osare e il coraggio per farlo sul serio, senza preoccuparsi di piacere ad una platea indie internazionale sempre sensibile al ridicolo e sempre attenta ad accettarlo solo se mascherato con paraculante autoironia.Difficile capire quale possa essere il pubblico interessato a quest'offerta musicale: non piacerà ai fan storici, se non in limitati episodi, per la mancanza di legami con l'epoca di "Origin Of Symmetry"; non piacerà a chi non li ha mai sopportati, perché i motivi di questo disprezzo hanno ancora più ragione d'essere con "The Resistance"; non piacerà a chi verrà catturato da un ascolto casuale degli accattivanti singoli, per i continui cambi di tempo e timbro e una dedizione alla sperimentazione di situazioni inconsuete. Se il trio iniziale rappresenta il materiale dal maggior potenziale mainstream ("Uprising" carica, "Resistance" sognante, "Undisclosed Desires" interessante esperimento da club, piatto però nelle strofe), con il panegirico – ed esplicitamente ironico – inno all'unificazione dell'Eurasia si introducono gli elementi sinfonici che verranno ripresi nel finale. A "Guiding Light" e al suo romanticismo '80s fatto di chitarre ed echi il ruolo di faro che indica la via per la speranza, mentre "Unnatural Selection", dalla struttura divisa fra scariche elettriche e momenti di quiete, e "MK Ultra", synth che promettono una nuova Mappa della Problematica per una canzone con cali di troppo, hanno il compito di rincuorare chi segue il gruppo da "Showbiz" e di introdurre una divertente "I Belong To You (+ Mon Coeur S’Ouvre A Ta Voix)", esperimento tra opera, pop, rock e jazz. Chiude l'album una sinfonia in tre parti, vera sfida personale del frontman, epopea cosmica di un'umanità costretta all'esodo e in cerca di una nuova Terra che, specialmente nell'"Overture", sfoggia un'atmosfera tra l'epico e l'ancestrale davvero memorabile.Un album coraggioso, sincero nonostante / in virtù di una produzione sfarzosa, privo di un capolavoro energico come lo sono stati "Knights of Cydonia" e "Bliss" nei precedenti album, ma dalla qualità media più alta che in passato e decisamente più compiuto nel complesso, sia musicalmente che "concettualmente". A patto di sopportare le teorie distopico-complottistiche che accendono la passione nel cuore dello spacerocker albionico.
Recensito da nss_gabriele per DeBaser