Muse, The Resistance - Un altra recensione

L’ultimo capitolo discografico della band di Matthew Bellamy ha segnato un nuovo punto di arrivo dell’arte nella musica rock. Da comprare ed ascoltare, più e più volte.Mi trovo di fronte ad un grosso problema. Non riesco a scrivere questa recensione! Bella fregatura, uno aspetta per mesi, si va a comprare il disco il giorno stesso che esce pronto per scrivere le proprie impressioni… e poi rimane completamente senza parole. La verità è che non riesco a tradurre in frasi di senso compiuto ciò che ho ascoltato, è come se il disco doveste averlo tutti e lasciare che siano le vostre orecchie a spiegare tanta genialità.Ok, se dovessi fare il gioco del giornalista “serio” e analizzare razionalmente questo lavoro potrei dirvi un po’ di cose. Potrei dirvi che il singolo di lancio, “Uprising”, è forse il pezzo più debole del disco, non tanto per la qualità del brano, che si incastona alla perfezione nella serie di singoli potenti ed accattivanti del gruppo inglese, ma quanto perché al confronto con l’assoluta particolarità e grandezza del resto dell’opera impallidisce immediatamente.Potrei dirvi che la title track è di una bellezza disarmante, sospesa fra l’etereo e il terreno, che il beat di “Undisclosed eyes” è destinato a spopolare in radio e a tutti i festival estivi, potrei dirvi che il trittico “Unnatural selection”, “Mk Ultra” e “I belong to you” è da riascoltare a più riprese perché l’approccio compositivo è quanto di meno banale e commerciale possa esserci, con movimenti improvvisi, e con la sensazione generale che durante il pezzo potrebbe accadere di tutto.Potrei consigliare ai fans più integralisti (una schiera che non amo particolarmente) di stare lontani da questo disco perché non suona assolutamente come il “classico” disco dei Muse. Questo è più che altro un sunto di tutte le influenze possibili che hanno fatto parte della vita dei Muse rielaborate però in uno stile del tutto personale. Influenze che vanno dall’elettronica di gruppi come Kraftwerk e Depeche Mode, alla magnificenza dei Queen (su di tutte la rapsodica “United States of Eurasia”), alla pesantezza di Metallica e gruppi affini fino al mantello melodico che arriva direttamente dalla musica classica. Non a caso il disco si chiude con “Exogenesis”, sinfonia in tre atti che lascia letteralmente a bocca aperta.E, parere personale, Dio conservi intatti i gruppi che si reinventano e sperimentano, e non si sollazzano al sole di qualche posto esotico producendo un disco uguale all’altro ogni anno.Certo, vi ricordo che direi queste cose se fossi un giornalista serio…La realtà è che tutto quello che uno come me può dire di “The resistance” è che mi ha fatto guidare ieri notte da Milano a Pavia e ritorno per farsi ascoltare tutto, due volte. E posso dirvi che la prima cosa che ho pensato quando mi son svegliato stamattina era di riascoltarlo al più presto.E, per finire, un nostalgico venticinquenne amante dei Pink Floyd come me potrebbe dirvi che, seppur con differenze compositive e d'arrangiamento sostanziali, ascoltare questo disco mi ha riportato inevitabilmente al primo ascolto delle monumentali opere floydiane.Muse, ma come diavolo avete fatto?
di Simone Tricomi