Muse - Reapers [Official Lyric Video]


Muse, la scaletta del primo concerto del tour europeo 2015 al Rockavaria

Dopo una prima presenza al Big Weekend della BBC Radio 1, i Muse hanno ufficialmente dato il via al loro tour europeo il 29 maggio 2015 da Monaco: il trio di Teignmouth si è difatti esibito al Rockavaria in qualità di headliner della prima giornata di festival, che proseguirà anche sabato 30 e domenica 31 maggio.
La scaletta del live ha offerto ben quattro brani estratti dal nuovo attesissimo album “Drones“, in uscita il prossimo 9 giugno: ai singoli “Mercy” e “Dead Inside” si sono aggiunti anche “Psycho” e “Reapers”, oltre agli interludi di [Drill Sergeant] e [JFK] che catapultano nel nuovo concept presentato da Bellamy e soci. Pochissimo spazio lasciato al controverso “The 2nd Law”, mentre immancabili resistono alcune importanti perle del passato, tra cui “Bliss” e “New Born”. E al solito, la grande conclusione si avvia sulle note morriconiane suonate dall’armonica di Chris Wolstenholme per poi sfociare in quel finalone epico che è “Knights of Cydonia”.
I Muse proseguiranno la loro tournée per i principali festival europei, tra cui il Download inglese e il Rock Werchter belga, e si fermeranno anche in Italia per un’unica tappa, il 18 luglio 2015 all’Ippodromo delle Capannelle nell’ambito del Rock in Roma 2015.

Muse – La scaletta dei concerti del tour europeo 2015
[Drill Sergeant]
01. Psycho
02. Stockholm Syndrome
03. Supermassive Black Hole
04. Dead Inside
05. Resistance
06. Interlude
07. Hysteria
08. Animals
09. Munich Jam (New drum & bass jam)
10. Madness
11. Apocalypse Please
12. New Born
13. Bliss (Extended)
14. Mercy
15. Time Is Running Out
16. Reapers

Bis:
[JFK]
17. Uprising (Extended Outro)
18. Starlight
19. Knights of Cydonia
http://www.outune.net/attualita/news/muse-scaletta-concerti-tour-2015/115875

La soundtrack più lunga di sempre? L’ha composta Thom Yorke. 432 ore di musica per la mostra di Stanley Donwood, storico illustratore dei Radiohead

IL TALENTO DI STANLEY DONWOOD: TUTTA L’ARTE DEI DISCHI DEI RADIOHEAD
“La nostra architettura è orribile e la nostra arte sguazza in vuote banalità. Non c’è futuro; ci siamo espulsi dalle nostre città, abbiamo reso la nostra agricoltura velenosa, abbiamo criminalizzato i poveri, arricchito i ricchi, onorato gli stupidi e ridicolizzato gli intelligenti. Io non pretendo di essere fuori da questo fottuto pasticcio. Sono colpevole come chiunque altro”. Parla di apocalissi e di metropoli alla deriva, di società ciniche e di natura violentata, di decadenza morale e culturale. Lui è Stanley Donwood, artista e illustratore britannico, distante dai circuiti ufficiali, molto vicino all’esprit indipendente della migliore scena underground.
Uno che, per fare qualche esempio, ha studiato le immagini per il festival di Glastonbury, ha ripensato 21 copertine limited edition per altrettanti libri di James Ballard, ha sfornato tele, grafiche, art work per progetti editoriali e musicali, esponendo in gallerie e spazi non profit. Il suo nome, però, resta e legato alla storia discografica dei Radiohead, per cui ha progettato quasi tutte le cover e le illustrazioni. Inconfondibile quel suo mix di cupezza e brillantezza cromatica, animo dark e pulsione pittorica, malinconia e ossessione notturna, sempre tenendo il paesaggio – urbano o naturale – al centro di visioni oniriche, allucinate. Un talento raffinatissimo.
THOM YORKE, UN’IMMENSA COLONNA SONORA. NELL’ATTESA DEL NUOVO DISCO
Oggi Donwood è il protagonista di una retrospettiva presso lo spazio Carriageworks di Sydney. E la collaborazione con Thom Yorke era d’obbligo: è lui ad aver firmato la soundtrack della mostra, un tappeto sonoro dal titolo Subterranea, che accompagna le opere ed avvolge lo spettatore, sul filo di corrispondenze sinestetiche.
Non un progetto qualunque. Quella composta per “The Panic Office” è la colonna sonora più unga della storia. 432 ore di filed recordings, suoni sintetici, ambient e sperimentali in continua mutazione, diffusi attraverso tre livelli di altoparlanti, per un flusso ininterrotto che va dall’opening al finissage. “Nessun minuto”, recita un comunicato, “è mai lo stesso nei 18 giorni della mostra: i bassi tuonano dal pavimento, i medi echeggiano tra le pareti, mentre gli alti piovono dal soffitto”. Niente loop e un unico “play”, per una partitura ambientale prolungata ed avvolgente.
Sfida nuova e nuove contaminazioni per il leader dei Radiohead, mentre i fan attendono il disco annunciato per il 2015, a quattro anni di distanza da King Of Limbs. Con tutte le incognite del caso, legate alla distribuzione, le strategie di promozione e naturalmente alle evoluzioni musicali. Unica certezza: la band in questi giorni è chiusa in studio di registrazione. A testimonianza uno scatto pubblicato su Twitter dal produttore Nigel Godrich. Strana foto, con il chitarrista Jonny Greenwood in contemplazione davanti al banco mixer, su cui campeggia un’immagine di Anna Wintour, regina di Vogue. E la suspense aumenta…
- Helga Marsala

Stanley Donwood, The Panic Office
21 maggio-6 giugno 2015
Carriageworks – 245 Wilson St Eveleigh (cnr. Codrington St), Sidney
http://www.artribune.com/2015/05/la-soundtrack-piu-lunga-di-sempre-lha-composta-thom-yorke-432-ore-di-musica-per-la-mostra-di-stanley-donwood-storico-illustratore-dei-radiohead/

Cher per la nuova campagna Marc Jacobs

Cher per Marc Jacobs. La celebre cantante e attrice americana è infatti il nuovo volto del brand. L’iconica artista rappresenterà il marchio per la sua campagna autunno/inverno 2015-2016.
A rivelare la nuova collaborazione è stato lo stesso Marc Jacobs che sul suo profilo Twitter ha svelato la prima foto che ritrae Cher. La cantante ha posato per l’obiettivo di David Sims seduta con indosso una lunga gonna nera con del pizzo trasparente e una giacca borchiata.
Un paio di guanti neri in pelle e una lunga criniera nera completano il look di Marc Jacobs.
http://moda.guidone.it/2015/05/29/cher-per-la-nuova-campagna-marc-jacobs/

Musica, in mezzo secolo quasi 4mila brani nella top ten di vendita in Italia. Tra gli artisti Celentano, Madonna e Battisti

ROMA – Sono quasi quattromila (3.897 per la precisione) le canzoni (italiane e straniere) che nel corso dei 55 anni che vanno dal 1959 al 2014 sono entrate nella top ten, cioè nelle prime dieci posizioni delle classifiche di vendita in Italia.
I dati emergono da uno studio di Stefano Cilio, pubblicato in questi giorni dalla casa editrice specializzata nel settore del collezionismo “CIF srl Editore”.
È nel 1959 che esce la prima classifica di dischi in Italia a cura della rivista “Il Musichiere”, seguita nel 1960 dalla “Borsa del Disco” della rivista “Musica e dischi”. Nel 1997 arriva la classifica ufficiale della Federazione industria musicale italiana (che dal 2008 diventerà la Top Digital Download, per tenere conto delle vendite non più su supporto fisico). L’autore ha registrato le prime dieci posizioni delle classifiche settimanali ed ha attribuito un punteggio ponderandole in base al posto in graduatoria e alla media delle vendite in Italia: sono state così individuate le 500 canzoni di maggior “successo” (testimoniato in particolare dal numero di settimane ai vertici della classifica).
Per le prime 200 canzoni, l’autore ha anche riprodotto la copertina originale del disco o del CD e per le prime 100 posizioni riporta anche la storia del brano.
La classifica per interpreti vede al primo posto Adriano Celentano con 17 brani in top ten, seguito a poca distanza da Madonna, Battisti, Mina e Morandi. Al primo posto nella classifica delle classifiche stilata dall’autore è tuttavia una canzone di Vasco Rossi, “Basta poco”, che nel 2007 è rimasta per 21 settimane al primo posto della top ten e per 33 settimane è rimasta nelle prime dieci posizioni; al secondo posto “I bambini fanno oh” di Povia del 2005 (20 settimane in testa alla classifica e 33 settimane nella top-ten); al terzo posto “Candle in the wind” (Elton John) del 1997 (16 settimane al primo posto e 24 settimane nella top ten).
http://www.ilpaesenuovo.it/2015/05/29/musica-in-mezzo-secolo-quasi-4mila-brani-nella-top-ten-di-vendita-in-italia-tra-gli-artisti-celentano-madonna-e-battisti/

LANA DEL REY, MISTERO SUL PRODUTTORE DEL NUOVO ALBUM: PARLA DAN AUERBACH

A proposito del nuovo album in studio della cantante newyorkese, ad oggi, sono trapelati pochissimi dettagli; quello più importante, relativo alla data di pubblicazione del disco, se l'è fatto sfuggire la stessa Lana Del Rey durante una recente esibizione, nel corso della quale ha dichiarato che il disco - intitolato, pare, "Honeymoon" - sarà disponibile da settembre. Il mistero più grande in merito al sequel di "Ultraviolence" riguarda però il nome del produttore. In un primo momento si era parlato di Mark Ronson come possibile collaboratore di Lana per questa sua nuova fatica discografica, la quarta ("Sto registrando qualcosa con Lana Del Rey in uno studio vecchio e bellissimo, qui a Los Angeles", aveva dichiarato il producer londinese qualche settimana fa); negli scorsi giorni, invece, si era fatto strada il nome di Rick Nowels (già collaboratore di - tra gli altri - Madonna, Laura Pausini e Santana). Ora, una dichiarazione di Dan Auerbach del duo dei Black Keys, che aveva prodotto "Ultraviolence", lo scorso anno, getta ancora più mistero sulla produzione del quarto disco di inediti di Lana Del Rey. In un'intervista concessa al New Musical Express, infatti, Auerbach ha lasciato intendere che alla produzione dell'album ci saranno i vecchi produttori della cantante; il musicista ha dichiarato:
"Credo che Lana abbia fatto un passo indietro e sia tornata a lavorare con il suo vecchio produttore".
Il sequel di "Ultraviolence" potrebbe dunque essere prodotto da Emile Haynie, che nel produrre "Born to die" (il disco che, consegnato al mercato nel gennaio del 2012, ha consacrato la cantante a livello internazionale) si era avvalso dell'aiuto di Justin Parker, Robopop e Chris Braide.
http://www.rockol.it/news-644311/lana-del-rey-honeymoon---mistero-produttore-intervista-dan-auerbach

LOVE - GASPAR NOE'







Vincent Cassel pronto al sequel de L'odio

Vincent Cassel è il primo sostenitore di un sequel di L'odio. In un'intervista al Guardian, la star francese ha dichiarato che è giunto il momento per Matthieu Kassovitz di dare un seguito al suo film del 1995. Secondo l'attore, la spinta potrebbe arrivare dopo gli attacchi contro Charlie Hebdo, l'attentato dello scorso 7 gennaio nella redazione del giornale a Parigi che ha particolarmente colpito Kassovitz. 
"Quando Matthieu ha deciso di girare L'odio, è successo perché rimase scioccato dall'assassinio di un ragazzo in una stazione di polizia. Improvvisamente, sentì come se avesse qualcosa da dire su quest'argomento", ha raccontato. "Forse con tutto quello che è successo di recente, potrebbe accadergli di nuovo". 
Cassel ha poi spiegato che nonostante il suo personaggio, Vinz, non tornerà nel potenziale sequel, l'idea di un seguito sarebbe ideale per Kassovitz. "Ha coltivato questo pensiero negli ultimi anni, poi è stato molto impegnato e non sapeva precisamente che storia raccontare. Se ci riuscirà adesso, potrebbe essere il prossimo grande film di Mathieu Kassovitz". 

Berlusconi secondo solo a Madonna. A 'Che Tempo che Fa' batte Renzi e Salvini a livello di share

Classifica de IL Tempo sulle ospitate della trasmissione di Fazio
Silvio Berlusconi è stato solo secondo a Madonna.
Lo show del leader di Forza Italia domenica sera, a «Che tempo che fa», si è infatti insediato al 13,2% di share, con 3 milioni e 268mila spettatori, e quasi 800mila spettatori in meno rispetto alla puntata dell'8 marzo 2015 quando alla trasmissione apparve Madonna, che superò i 4 milioni di spettatori per uno share del 14,19%.
Restando ai paragoni con le rockstar, come riportato dal quotidiano romano Il Tempo, in termini di share il Cavaliere ha battuto il 13,07% di share, risultato degli U2, ospiti di Fazio il 12 ottobre 2014, per la prima apparizione tv con il loro nuovo album «Songs of Innocence». In spettatori però il gruppo irlandese fece meglio di Berlusconi, con 3.434.000 spettatori. 
Se dall'intrattenimento di costume passiamo al genere politico, sempre restando all'articolo de Il Tempo, il raffronto del ritorno in tv di Berlusconi diventa interessante comparato con le ospitate, a «Che tempo che fa» dei due Mattei, Renzi e Salvini. Il buon Silvio infatti li ha battuti entrambi, seppur di pochissimo, in termini di spettatori. La puntata con il Presidente del Consiglio Renzi, in onda il 28 settembre 2014, realizzò il 12,81% di share con 3 milioni e 243mila spettatori mentre quella con ospite Matteo Salvini, nel gennaio di quest'anno si fermò all'11% con 3 milioni e 136mila spettatori. Se guardiamo al numero degli spettatori, quindi, a parte la puntata record con Madonna, si nota una oscillazione che varia tra le decine di migliaia e i duecentomila spettatori, a seconda delle puntate. Questa variazione, in termini di share può sembrare più grande perché a seconda del periodo di programmazione, primavera, autunno o inverno, la platea televisiva complessiva cambia (esempio, a maggio con meno spettatori si può fare più share, ed è il caso del confronto tra la puntata con Silvio Berlusconi e quella con gli U2 che citavamo poc'anzi). 
Intanto la sinistra dà la colpa proprio a Fazio del successo del Cavaliere. 
Non avrebbe fatto domande da impensierirlo. 
Il critico Riccardo Bocca, in un commento su L'Espresso, riportato da Massimiliano Lenzi giornalista de Il Tempo, ha scritto: «I have a dream. Sì, lo confesso: ho un sogno al culmine dei miei pensieri che vorrei si traducesse in realtà. Vorrei davvero che la Rai, cioè la nostra televisione pubblica, trovasse l'onestà e la voglia per convocare nei suoi più alti uffici il signor UsD (l'Uomo senza Domande), noto anche al pubblico come Fabio Fazio. L'occasione potrebbe essere l'intervista - ma sì, non spacchiamo il capello: eleviamola con nonchalance al rango di intervista - che il conduttore ha fatto domenica sera a Silvio Berlusconi. Un esempio di televisione da disservizio pubblico, in cui l'assenza di pudore e verve ha rimbalzato per l'intera penisola». Per una volta ci tocca difendere Fazio, nel senso che le interviste di «Che tempo che fa» hanno un genere narrativo che è lo stesso da sempre, verso tutti, compreso Matteo Renzi (che quando è stato ospite non è stato certo martellato di domande cattive) o Pier Luigi Bersani. Il fatto che lo accusino, dopo l'intervista a Berlusconi, di disservizio pubblico in fondo è un contrappasso dantesco. Fuori tempo massimo.
http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=7182&categoria=5&sezione=30&rubrica=

“Honeymoon”, il nuovo album di Lana Del Rey arriva a settembre

Questa volta la bella Lana sta lavorando con Mark Ronson, chissà come l'ha presa il povero Dan Auerbach, reduce dal precedente "Ultraviolence"
Fan di Lana del Rey, ottime notizie dal fronte. Il nuovo album della cantante più imbronciata del pop uscirà dopo l’estate, a settembre, e si chiamerà Honeymoon. L’annuncio era nell’aria da tempo ma è stato semi-ufficializzato durante un recente live a Washington.
Il disco uscirà a un anno da Ultraviolence, e vede la partecipazione di Mark Ronson alla produzione. Niente tracklist o cover, per ora. Intanto, Lana continua il suo The Endless Summer Tour con Courtney Love e Grimes.
Chissà come l’avrà presa Dan Auerbach dei Black Keys, suo grande fan (con cui aveva lavorato al precedente disco).
http://www.rollingstone.it/musica/news-musica/lana-del-rey-honeymoon-a-settembre/2015-05-25/

Coldplay, ecco il singolo inedito “Gone but not”

La canzone è dedicata a Fearne Cotton, storica conduttrice di Radio BBC1, che lascia il suo famosissimo show mattutino dopo sei anni
L'abbiamo appena visto con David Letterman, il cui addio ha visto un'ultima puntata del suo storico show dove è stata ospite una parata di star da far invidia a chiunque (con tanto di videomessaggio di ben 5 presidenti degli Stati Uniti): quando uno dei grandi giornalisti termina di condurre il proprio programma, sono in tanti a mobilitarsi per porgere i saluti.
E' accaduto anche a Fearne Cotton, nota conduttrice dell'inglese Radio BBC1, che lascia il suo famosissimo show mattutino, il Fearne Cotton Show, dopo sei anni di conduzione. I saluti alla giovane giornalista sono arrivati via social da moltissime star: dai Maroon 5 a James Bay, da Ed Sheeran ai 5 Seconds of Summer e Sam Smith.
Sono stati certamente i Coldplay, però, a celebrare più di tutti la Dj: le hanno addirittura dedicato una canzone inedita, scritta apposta per lei e per l'occasione, Gone but not F. Cotton. Eccola, potete ascoltarla qui.
"Gone but not forgotten" è un'espressione inglese usata nei necrologi che si può tradurre con "se ne è andato ma non lo dimentcheremo" e i Coldplay hanno voluto utilizzarla con un abile gioco di parole sostituendo a "forgotten" il nome della conduttrice. Inomma, non la dimenticheranno facilmente ovunque lei deciderà di andare. Proprio di questo parla anche il testo della canzone.
http://www.sorrisi.com/live-news/coldplay-ecco-il-singolo-inedito-gone-not/

Cannes, Italia a bocca asciutta. La Palma va a Audiard per il suo "Dheepan"

Nessun premio per i tre italiani in concorso. La giuria ha scelto il dramma dei migranti dello Sri Lanka diretto dal regista di "Il profeta". Migliore attrice ex aequo a Rooney Mara e Emmanuelle Bercot, l'attore è Vincent Lindon, la regia al cinese Hsiao-Hsien
CANNES - Delusione Italia. Né Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, né Mia madre di Nanni Moretti e neppure Youth di Paolo Sorrentino hanno ottenuto alcun riconoscimento. La Palma d'oro è andata Dheepan del regista francese Jacques Audiard. Il film del regista di Il profeta racconta il difficile percorso di un ex guerrigliero Tamil (interpretato da Jesuthasan Antonythasan, un vero ex bambino soldato che fuggito dallo Sri Lanka in Francia è diventato scrittore sul palco insieme al regista e all'attrice Kalieaswari Srinivasan) che per ottenere l'asilo politico accetta di formare una famiglia di invenzione con una giovane donna e una bambina di nove anni facendo propri i documenti di tre persone morte in guerra. Un film duro ma non senza speranza che deve aver convinto la giuria per la sua contemporaneità. "Cannes è un grande Festival anche quando gli italiani non vincono. Un dovere essere qui: Francia e Italia sono insieme il cinema europeo": questo il tweet postato dal ministro Dario Franceschini alla fine della cerimonia.
Non accadeva da più di vent'anni che gli italiani arrivassero così numerosi in concorso a Cannes, ma nel 1994 (che i titoli erano quattro) il morettiano Caro diario aveva portato a casa il Premio della giuria. Quest'anno i nostri sono rimasti a mani vuote. Un verdetto inaspettato per un tris di titoli che, in modo diverso, erano stati tutti accolti molto positivamente qui al festival. Ma il Palmares della giuria guidata dai fratelli Coen non rispecchia l'opinione dei critici e cronisti e neppure del pubblico (che in Italia sta premiando i nostri autori con ottimi incassi, Sorrentino ha incassato in quattro giorni 1.700.000 euro). La difficile situazione mondiale (tra crisi economica e terrorismo) può aver influenzato la giuria che ha scelto titoli con tematiche sociali: la disoccupazione, l'emigrazione, la guerra, la Shoah.
Grand Prix a Son of Saul (Il figlio di Saul). L'opera prima del trentottenne ungherese Làszlò Nemes si è aggiudicato il riconoscimento che rappresenta una sorta di Palma d'argento. Il film dell'aiuto di Bela Tarr trasporta lo spettatore dentro l'inferno dei forni crematori di Auschwitz dove un membro del Sonderkommando (il gruppo di ebrei costretti a fare da assistenti ai nazisti nello sterminio dei propri compagni) crede di vedere nel cadavere di un ragazzo il figlio che ha lasciato molto tempo prima, e si mette in testa di offrirgli una sepoltura religiosa.
Premio alla regia al maestro taiwanese Hou Hsiao-Hsien. Già Premio della giuria nel 1993, il regista ha presentato quest'anno The Assassin, personale rielaborazione del wuxia (il tipico cappa e spada cinese) che vede come protagonista un sicario donna abilissima nell'uso di spada e pugnale (la bellissima Shu Qi) che si trova a dover affrontare il dilemma morale di uccidere un cugino a cui da bambina era stata promessa sposa. Un lavoro rigorosissimo sull'immagine di grande bellezza visiva con un prologo in bianco e nero e una cura dei dettagli nella ricostruzione meticolosa della Cina del nono secolo.
Premio al miglior attore a Vincent Lindon. Uno tra i più prolifici interpreti francesi, 55 anni, attore di Lelouch ma anche di commedie sentimentali come quella con la giurata Sophie Marceau ventisette anni fa L'etudiante (uscita da noi con il titolo Il tempo delle mele 3 per sfruttare la fama del primo film) si è aggiudicato il riconoscimento per la migliore interpretazione maschile battendo l'ottantaduenne Michael Caine di Sorrentino e Tim Roth, infermiere dolente di Chronic. Lindon, accolto al Théatre Lumière con una standing ovation, è il protagonista di La loi du marché di Stéphane Brizé, il film più riuscito del quintetto francese, nel ruolo di un cinquantenne disoccupato pronto ad accettare quasi tutto pur di assicurare al proprio figlio disabile l'assistenza e le cure necessarie. Lindon particolarmente commosso nell'accettare il premio ha definito un atto politico la scelta di premiare un film con queste tematiche e lo ha dedicato a tutti quei cittadini cui non vengono riconosciuti i propri meriti.
Prix de la Jury (Premio della giuria) a The lobster di Yorgos Lanthimos. Il dramma, ambientato in un futuro distopico, del regista greco Yorgos Lanthimos racconta un mondo dove i single vengono costretti a trovarsi in un tempo di 45 giorni un compagno o una compagna pena la trasformazione in un animale a propria scelta. Con Colin Farrell, Léa Seydoux e Rachel Weisz. Dopo i premiati The dogtooth (Un Certain Regard) e Alps, il terzo film del regista greco è girato in inglese e ambientato in mondo immaginario violento e disperato.
Premio alla migliore interprete femminile ex aequo a Emanuelle Bercot e Rooney Mara. Alla francese Bercot per Mon roi (Il mio re) della regista francese Maiwenn, storia di amor fou con Vincent Cassel. In questa edizione del festival virato al femminile la love story tra Tony e Giorgio è raccontata attraverso lo sguardo della Bercot (47 anni) che in un centro di riabilitazione dopo un incidente di sci ripensa al suo passato. Cannes le ha sempre riservato un trattamento d'eccezione: il suo corto Les Vacances ha vinto il premio della giuria nel '97, il suo primo lungo Clément  è stato presentato nel Certain Regard edizione 2001. Il premio lo ha condiviso con la trentenne newyorchese ex Lisbeth Salander nella versione Usa di Uomini che odiano le donne per il mélo Carol di Todd Haynes che tredici anni dopo Lontano dal paradiso ci riporta nelle atmosfere piccoloborghesi americane degli anni Cinquanta con una storia di amore lesbico con Cate Blanchett. Il film ha ottenuto anche il Queer Palm dedicato al cinema omossessuale, bisessuale e transgender. Il premio per Rooney Mara è stato ritirato da Todd Haynes.
Premio alla sceneggiatura a Michel Franco per Chronic, consegnato da Valeria Bruni Tedeschi. Il film racconta la quotidianità di un infermiere che si occupa di malati terminali, Tim Roth (presente in sala), li aiuta nelle necessità primarie e li accompagna alla fine, suscitando a volte la gelosia degli stessi parenti. E' solo, senza famiglia, l'unico figlio è morto di tumore e lui stesso lo ha accompagnato fino all'ultimo istante di vita. Il regista non ha dimenticato di ringraziare particolarmente il giurato compatriota Guillermo Del Toro.
Camera d'or (il premio per l'opera prima) a La tierra y la sombra (La terra e l'ombra) del regista colombiano César Augusto Acevedo presentato nella Semaine de la Critique, la storia di un contadino che torna nella casa della sua famiglia per assistere il figlio malato. Miglior cortometraggio a Wave '98: al cartoon d'animazione libanese del giovane regista Eli Dagher ambientato in una Beirut distrutta dalla guerra dove un giovane vaga in cerca di identità, è andata la Palma più piccola.

Rossy De Palma: "Ho difeso gli italiani ma in giuria ero troppo sola
CANNES - In assenza del giurato italiano è toccato alla spagnola Rossy De Palma sostenere le ragioni del nostro cinema, uscito sconfitto dal festival di Cannes. Il giorno dopo l'attrice di Almodòvar racconta al telefono da Madrid cosa è successo nella giuria dei fratelli Coen e perché Moretti, Garrone e Sorrentino sono rimasti fuori dal Palmarès.
Lei è stata l'unica a parlare del cinema italiano dopo il verdetto. Avrebbe voluto un premio a Giulia Lazzarini?
" Mia madre è un film che va dritto al cuore. Abbiamo pianto tutti molto, perché ognuno di noi ha una mamma. Giulia Lazzarini diventa la mamma di tutti noi, con la sua tenerezza porta sulle spalle tutto il film. Turturro è divertente, Margherita Buy è stupenda e Nanni è Nanni. Io, insieme ad altri giurati, abbiamo difeso la forza dell'emozione che c'era in questo film".
Ha anche sostenuto Sorrentino?
" Mi piacciono tutti i suoi film. Tra i film in gara quello che aspettavo di più era Youth. Paolo mi piace sempre. Il suo è un cinema che mi diverte, è bello da vedere. Ma ero l'unica a sostenerlo ".
Nessun riconoscimento agli italiani, malgrado l'accoglienza.
" Capisco la delusione. Ma non posso svelare i segreti della giuria. Posso dirvi solo che ho amato il film di Nanni e mi è piaciuto quello di Paolo. Ma non abbiamo mai ragionato in termini di nazionalità. Il giorno dopo gli spagnoli scrivono che i francesi hanno preso troppo, i francesi non sanno cosa dire. Era una giuria internazionale, nessuno ci ha detto di dare premi a un paese piuttosto che a un altro. Noi spagnoli non avevamo nessun film, voi addirittura tre: è una cosa bella".
Com'è stato far parte della giuria dei Coen?
" Andare al cinema alle 8.30 del mattino è stata un'esperienza nuova. Correvamo da una sala all'altra, giusto il tempo di un caffè tra le proiezioni. Vedere tanti film con questa dedizione è stato come fare l'amore con il cinema tutti i giorni. I Coen sono delicati, sensibili: sentivano in modo forte la responsabilità del loro compito. Da subito hanno detto: parliamo di ciò che ci piace, non di quello che non ci piace. Non siamo critici e non veniamo qui per parlare male di nessuno ".
Quanto hanno contato i temi sociali?
" Il tema è importante se il film si sostiene anche dal punto di vista cinematografico. Ma da solo non basta: ci vogliono costruzione, drammaturgia, fotografia. La Palma d'oro Dheepan di Audiard aveva tutto questo, era completo. E la gente che andrà a vederlo ne uscirà trasformata: tutti nelle nostre città incontriamo persone che ti vendono le rose. Diciamo loro tre, quattro volte "no", senza mai fermarci a pensare chi è questa persona e come è arrivata qui. Audiard parla di loro".
Quattro giurate donne: mai pensato di dare una mano alle due registe in gara?
"Si pensa al film, non a chi l'ha fatto. La vera libertà è scegliere ciò che ti arriva al cuore".
È tornata a Madrid e tra pochi giorni sarà sul set con Almodòvar per Silencio.
" Pedro mi ha affidato un ruolo che mi trasforma fisicamente. E io mi affido come uno strumento nelle sue mani. Con lui ho imparato tutto, per me è come tornare alla casa del padre ".
Farebbe un film con Moretti, Sorrentino, Garrone?
" Mi piacerebbe molto. Chissà se ora loro avranno voglia di lavorare con me...".
http://www.repubblica.it/speciali/cinema/cannes/festival2015/2015/05/24/news/cannes_palma-115169071/#gallery-slider=115162332

Muse - Mercy [Official Lyric Video]


Video tributo a Cher: l'evoluzione del suo stile nel corso degli anni

L'unica e inimitabile Cher compie 69 anni. Un video-tributo in suo onore che mostra l'evoluzione del suo stile e del suo spirito nel corso degli anni.

Letterman se ne va, tace il talk show

Chiude il “Late Show”: il 20 maggio ultima puntata del celebre programma. Ecco come in trent’anni la star della Cbs ha demolito e ricostruito la tradizione americana della seconda serata tv
Tra gli ultimi nomi ad essere annunciati nell’iconica sigla che raccoglie panorami notturni di New York ci saranno quelli di Bill Murray e Bob Dylan: difficile che qualcuno possa vantare ospiti altrettanto altisonanti alla propria festa di pensionamento.
Domani, mercoledì 20 maggio 2015 è la data che David Letterman ha scelto per consegnare al mondo l’ultima puntata del suo “Late Show”, a conclusione di una carriera più che trentennale di gran cerimoniere dei “talk” serali.
In Italia, Letterman è da anni molto apprezzato grazie alle repliche che Sky prima e Rai5 poi hanno mandato in onda in lingua originale con sottotitoli, ma bisogna ricordare che egli, sui nostri schermi, è arrivato da leggenda televisiva già consolidata. Le fondamenta della sua presenza risalgono a molto prima, agli anni Ottanta, e alla sua “gemmazione” dall’amico, maestro e mentore Johnny Carson.
“The Tonight Show”
“The Tonight Show starring Johnny Carson”, in onda sulla rete Nbc, non era un’idea originale. Carson l’aveva ereditata nel 1962 da Jack Paar il quale, a sua volta, l’aveva raccolta da Steve Allen. È con Carson, però, che l’appuntamento serale con l’affabile ospite piazzato dietro la scrivania diventa un rito per milioni di americani e, in quanto format, un classico del media televisivo.
Elegante, un poco freddo, ma comico imbattibile nei tempi e nella sottolineatura ironica, oltre che in possesso di un controllo assoluto del mezzo, Carson traccia un solco che i suoi eredi - Letterman, il preferito - si divertiranno a sconvolgere, invertire, destrutturare (esemplare, in questo senso, il “Late Late Show” di Craig Ferguson), ma sempre rispettandolo come schema fondamentale dell’intrattenimento tv.
Letterman lo fa quasi alle spalle del maestro: mentre Carson conduce la sua corazzata in seconda serata, lui lo segue in terza, sulla Nbc, con il suo “Late Night with David Letterman”, in onda dal 1982. Ai completi di sartoria di Carson fanno da contrappunto le sue giacche larghe, i “chinos” e le Adidas bianche: Letterman progetta in laboratorio lo svecchiamento del “Tonight Show”, forse pensando che il programma del maestro gli toccherà naturalmente in eredità quando questi deciderà di godersi la vecchiaia sul suo yacht, una volta inoltrati i cospicui assegni di mantenimento alle numerose ex mogli.
L’interferenza di Jay
Le cose non vanno così: all’uscita di scena di Carson, nel ’92, la Nbc decide di mettere un marchio di proprietà sullo show. Non sarà Letterman a condurlo - nonostante sia chiaramente il preferito di Carson - ma Jay Leno, “stand-up comedian” della stessa generazione, ma di profilo più tradizionale, “classico” se si vuole. La Cbs offre allora a Letterman di occupare lo stesso spazio orario di Leno - la seconda serata - con un programma da New York, da quell’Ed Sullivan Theatre che, il 9 febbraio 1964, aveva visto il debutto americano dei Beatles.
Il 30 agosto 1993 parte il nuovo “Late Show with David Letterman”, spettacolo che tra i lavori di rinnovamento del teatro, il contratto dell’ospite e quelli della band capeggiata da Paul Shaffer, già costa alla Cbs 140 milioni di dollari.
Investimento redditizio
Investimento redditizio, perché in ventidue anni di lavoro, cinque spettacoli alla settimana, Letterman rifonda la tradizione del talk show, dimostrando che in televisione intelligenza e semplicità sono vincenti. Le interviste con gli ospiti - pur interessati alla promozione di film e dischi - non sono mai scontate: Letterman è sempre in agguato con la sua ironia e il leggere nelle sue smorfie e nei suoi commenti antipatie e simpatie personali diventa uno sport nazionale.
Celeberrimi i suoi scontri con Madonna, Cher, Oliver Reed («Dimmi: quanta voglia hai di prendermi a pugni in questo momento?»), epiche le apparizioni di Andy Kaufman e Warren Zevon, deliziosi i siparietti con gli amici dichiarati Tom Hanks, Bill Murray, Ray Romano, Don Rickles, Al Pacino, Drew Barrymore e, soprattutto, il flirt tutto virtuale con Julia Roberts.
È difficile capire quanto orfana sarà da giovedì la tv americana - anche se a Letterman subentrerà una generazione di “host” che gli deve molto (Jimmy Kimmel su tutti) - e quanto più povero sarà il mondo dello spettacolo. In Italia, l’unico parallelo possibile è quello con Renzo Arbore: altro genio della tv che da tanto tempo tace, lasciando aleggiare quel vuoto spinto di cui il piccolo schermo così facilmente si riempie.
http://www.laprovinciadicomo.it/stories/Cultura%20e%20Spettacoli/letterman-se-ne-va-tace-il-talk-show_1121558_11/

Ascolta il DJ set di Björk registrato alla festa di compleanno della Tri Angle Records

Nell'ultimo album "Vulnicura", la cantante islandese ha collaborato con alcuni artisti della label con sede a Londra e New York. Ecco la registrazione del DJ set
La Tri Angle Records è una prestigiosa etichetta indipendente di musica elettronica, che dal 2010 ha pubblicato i lavori di nomi illustri come Vessel, Fatima Al Qadiri e AlunaGeorge.
Con una manovra a sorpresa, l’altra sera Björk ha improvvisato un DJ set in maschera per il quinto compleanno della label, suonando nella scaletta un po’ di tutto. Dai Death Grips a Jeremih.
La registrazione:
La lista degli artisti nella tracklist:

abida parveen/rabit
kate bush/lotic/vessel
amelia rodriguez/rabit
chilean flutes/the haxan cloak/lotic
john tavener/haxan cloak
abida parveen/bloom
hans reichel/sudanim
c.z./virtua mima
shut up and dance
hanz
cut hands
death grips
david hykes
kate bush/rabit
lung/lotic remix
kramphaft
jeremih
total freedom
brandy
http://www.rollingstone.it/musica/news-musica/dj-set-di-bjork-compleanno-tri-angle-records/2015-05-19/

Muse, il rock al tempo dei «Drones»

Matt Bellamy parla del nuovo album e confessa: "Un tempo combattevo il potere, ora mi sono arreso. E' inutile combattere i potenti, stanno troppo in alto"
Quando lo scorso anno Andrew Niccol presentò alla Mostra del Cinema di Venezia “Good kill”, con Ethan Hawke, il dramma degli operatori di droni trovò clamori hollywoodiani. 
Ed è proprio sugli incubi dei piloti in remoto, perseguitati dai fantasmi dei “nemici” uccisi in Iraq e in Afghanistan premendo semplicemente il pulsante di un joystick a migliaia di miglia di distanza che o Muse pescano nevrosi e fobie del loro nuovo album. Sul mercato dal 9 giugno, “Drones” prova a guarda al mondo, infatti, con gli occhi dei tanti Brandon Bryant - dichiaratosi responsabile in un’intervista alla BBC di oltre 1.600 vittime - sparsi nelle basi militari del New Mexico o del Nevada.
“Se ‘The 2nd law’ era un album molto elettronico e in 'The Resistance' c’era un sacco di musica progressive e classica, ‘Drones’ ha un sound rock puro e semplice, tutto giocato su chitarra, basso e batteria” assicura il leader della band inglese Matthew Bellamy, 36 anni. “Nell’album convivono due narrazioni parallele, una che racconta il mondo autodistruttivo di chi ha perso la speranza e l’altra che invece fa leva sulla riscoperta della nostra umanità per trovare la determinazione necessaria a combattere le forze oscure e liberarci dall’oppressione”.
Due estremi individuati soprattutto dalla cupissima “The globalist”, che inizia con un fischio dal sapore spaghetti western alla Alessandro Alessandroni per poi lasciare spazio ad una chitarra che più morriconiana non si può, e dalla ben meno apocalittica “Aftermath”, ballata alla U2 da eseguire nei concerti di questa estate - Postpay di Roma in testa, il 18 luglio - in uno scintillare di telefoni cellulari illuminati.
Parlando di speranza e della ricerca di un nuovo amore, “Aftermath” è anche il brano più aderente allo stato d’animo attuale di Bellamy, separatosi lo scorso dicembre dall’attrice Kate Hudson dopo quattro anni di vita comune e la nascita del piccolo Bingham. Abituato a cadere in piedi, chitarrista di Teignmouth è ora fidanzato con la modella texana Elle Evans, nota per il disinibito video di “Blurred lines” con Robin Thicke. “Un tempo ero contro il sistema, poi sono arrivato alla conclusione che è inutile combattere i potenti perché stanno lì in alto e non puoi arrivarci” ammette. “Puoi, però, arrivare a te stesso e immunizzarti dai virus del potere”.
In “Drones”, oltre ad una citazione del Requiem di Pierluigi Da Palestrina, c’è pure la voce registrata di John Fitzgerald Kennedy. “In quel suo famoso discorso alla stampa del 1961, Kennedy parla di come il totalitarismo di certi regimi nasca dalla manipolazione delle coscienze. Una visione che mantiene la sua validità in questi nostri tempi di crescente estremismo. Non avendo scudi all’esterno, per combattere i ‘manipolatori’ non ci resta che trovare un equilibrio dentro di noi. Lavorando al disco ho scoperto che i discorsi presidenziali ufficiali sono di proprietà pubblica ed è per questo che nell’album abbiamo dovuto annoverare tra i crediti pure la Biblioteca del Congresso”.
A produrre questa loro settima fatica formato cd, i Muse hanno chiamato un pezzo da novanta quale Robert John “Mutt” Lange. “Mutt è un visionario, un uomo che utilizza le più avanzate tecnologie per creare musica senza tempo” conclude Bellamy. “Ha prodotto ‘Back in black’ degli Ac/Dc, vera e propria colonna sonora della mia adolescenza, per questo mi sono sentito molto sorpreso e onorato di averlo accanto in sala di registrazione. Quando Lange dice di sì ad un artista, siano essi gli Ac/Dc o Shania Twain, esige che quel lavoro lasci un segno nella storia. E la cosa mi piace”.
http://www.ilmattino.it/SPETTACOLI/MUSICA/muse-drones-matt-bellamy/notizie/1362484.shtml

Amy: La ragazza dietro al nome

Questo è un film su una persona che desidera amore e non sempre ne riceve.
AMY è un film sull’amore.
Cannes 2015, tutta la dolcezza di Amy  Il documentario di Asif Kapadia sulla vita (e la morte) di Amy Winehouse viene proiettato fuori concorso al Festival di Cannes. E tra immagini inedite, interviste mai viste, ritratti di vita personale, ci porta a scoprire l'anima più vera e fragile dell'indimenticata cantante.
Com'era bella e solare Amy, prima di diventare Amy Winehouse. Fresca, spigliata e sbarazzina, era una «ragazza ebrea della Northern London», con il sorriso vivace  e lo sguardo vispo. Sorrideva spesso, Amy, anche se a volte la malinconia prendeva il sopravvento. Braccata da «quel male di vivere che forse tutti i musicisti hanno», non aveva mai smesso di soffrire per il divorzio dei suoi genitori e riusciva a trovare pace soltanto nella musica. Sapeva di avere una fortuna: in qualunque circostanza, le sarebbe bastato impugnare una chitarra e mettersi a cantare per riuscire a liberarsi dalla morsa della depressione e tornare a essere felice, o quasi. «Non tutte le persone depresse possono farlo», si diceva.
Amy amava la musica, più di ogni altra cosa al mondo. Sapeva che la musica l'avrebbe salvata, e lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per essa. Perché Amy era nata per cantare, aveva una di quelle voci preziose, destinate a diventare leggenda: «Come Sarah Vaughan e Billie Holiday», dirà il suo idolo Tony Bennet dopo averla conosciuta.
Ecco, c'è molto di questo, molto della «vera» Amy nel documentario di Asif Kapadi presentato fuori concorso al Festival di Cannes. Il regista ricostruisce la vita, i legami, l'ascesa, il declino di questa ragazza dotata, ma anche fragile e insicura, che in cuor suo sperava di non diventare famosa mai. «Amy era fatta per esibirsi nei jazz club, non davanti a 50mila persone», spiegherà lucido Tony Bennet. Il suo ritratto Kapadi lo compone attingendo a video casalinghi, foto private, interviste inedite a familiari, collaboratori e amici (o presunti tali). Le parti più commoventi sono quelle con le due amiche del cuore, Lauren e Juliette, le uniche a cui la sorte disgraziata di questa ragazza sembrava importare davvero qualcosa. Fanno tenerezza le loro parole, i racconti, gli interrogativi di chi ancora non riesce a spiegarsi come e perché. Commuovono i ricordi, soprattutto quelli dolorosi; come quando, dopo la vittoria ai Grammys, Amy alle amiche confidò: «Senza droga è tutto troppo noioso».
All'ora stava già male, Amy. Perché la sua metamorfosi (apparente) in Amy Winehouse era già compiuta. Anche se la cofana cotonata e l'eyeliner dirompente erano soltanto una maschera, da cui lei ormai non riusciva a liberarsi più. Lei amava (soltanto) la musica, ma si ritrovò imbrigliata nelle infinite trame dello showbusiness. Ma che cosa c'entravano i paparazzi davanti casa con il suo desiderio di suonare, cantare, esprimersi? Di chi avrebbe potuto continuare a fidarsi? Amy era una che amava, tanto, forse troppo. Tant'è che le sue creazioni migliori erano scaturite da momenti di crisi sentimentali. Parole scritte a mano su dei pezzettini di carta, con tanti cuoricini disegnati sopra.
Come sia potuto accadere, di passare dai cuoricini sul foglio alle dosi di eroina, crack e alcool, è una domanda dolorosa. E ci si domanda anche perché nessuno si sia imposto alla sua (in)coscienza, alla cattiva volontà di autodistruggersi? La famiglia inizialmente aveva autorizzato il film, in un secondo momento ha deciso di bloccarlo. Eppure il papà Mitchell non è un indiziato secondo Kapadi, non è certo lui l'unico colpevole. Colpevoli lo siamo tutti, perché abbiamo consentito che la fragilità di questa ragazza ci venisse data in pasto.
L'unico «errore» del film, secondo noi, è che finisce per «sfruttare» proprio quegli elementi che si prefigge condannare: punta il dito contro gli eccessi della (sovra)esposizione mediatica, gli stessi che nel Regno Unito hanno ucciso anche Lady D, ma poi finisce con l'indugiare (troppo) proprio sulla trasfigurazione fisica e mentale di Amy, sul viso scavato e sofferente della cantante di Rehab, devastato da anni di perdizioni. E fa davvero così male ripensare a quell'attimo prima, a quel fotogramma precedente: quello in cui Amy era "soltanto" Amy, ed era ancora così bella.

http://www.vanityfair.it/show/cinema/15/05/17/festival-di-cannes-2015-documentario-amy-winehouse?utm_source=facebook&utm_medium=marketing&utm_campaig

#Cannes68 – Mon Roi, di Maïwenn

Maïwenn alza l’asticella dopo il successo qui a Cannes del suo Polisse nel 2012, e si affida, per un progetto narrativamente decisamente piu’ complesso, ai punti di forza della propria impalcatura registica: una certa sensibilita’ nello stare addosso agli attori, e al contempo la capacita’ di saper donare un respiro ampio alle scene maggiormente gonfie di sentimento.
Se l’incipit con la seduta terapeutica/interrogatorio a cui viene sottoposta la protagonista Tony puo’ ricordare i numerosi colloqui con i bambini abusati proprio in Polisse, e’ anche dal film precedente che sembrano venire quelle gioiose e caotiche scene di tavolate multietniche in cui ci si stringe intorno agli amici in difficolta’ tra scherzi e risate, grazie alle quali Tony riesce a sopravvivere alle giornate di fisioterapia nel centro di riabilitazione dove e’ ricoverata dopo un brutto e sospetto incidente con gli scii (e’ proprio a quei tavoli che ad un certo punto ti aspetteresti di vedere spuntare l’immenso Joeystarr…).
Alla stregua di quanto accadeva al personaggio interpretato proprio dalla regista in Polisse, attraverso il contatto con un’umanita’ piu’ semplice e umile, come un dialogo del film racconta letteralmente, Tony recupera il sorriso perduto stando appresso alla bella vita altolocata. L’ingenuita’ presunta di questa “poetica minima” di Maïwenn e’ quello che ne infastidisce i detrattori piu’ accesi che arrivano a parlare di disonesta’ degli intenti, e che anche in questo caso non mancheranno.
Ad ogni modo. L’ambizione della regista e’ proprio quella di raccontare le ragioni che hanno spinto Tony, rigorosissimo avvocato, a quel salto nel vuoto tra la neve, e per ritrovarle c’e’ bisogno di rivivere un decennio di amore burrascoso e malato con l’inarrestabile viveur Georgio: un matrimonio, un figlio, tradimenti, violenze psicologiche, menzogne, psicofarmaci, alcool e droga. Ma anche tanti istanti di luminosa complicita’, fasciati dall’usuale passione di Maïwenn per la musica dancepop sparata a palla.
E’ chiaro che materiale del genere puo’ funzionare solo se lanciato a temperatura di ebollizione, e ad alta velocita’, insomma possa avere una sua forza unicamente se costantemente esagitato: ed e’ qui che entra in ballo Vincent Cassel.
Il suo Georgio flirta con la mdp di Maïwenn proprio come fa con le donne (la bella soggettiva sui particolari del volto di Cassel nel finale), e’ irresistible e sempre in scena nel suo personale spettacolo infinito, travolge ogni sequenza senza alcun freno, si fa amare alla follia per poi distruggere tutto nella sequenza subito successiva. L’intera impalcatura di Mon Roi non funzionerebbe se il disegno di Georgio non reggesse, ma ad un satiro come Cassel basta un cenno di partenza per portare tutto il film dalla sua parte.
Maïwenn sembra consapevole del rischio di scatenare l’aspetto incontenibile di Cassel, e dunque costruisce con amore le figure che gli girano intorno, come i cognati Louis Garrel e Isild Le Besco (luminosa sorella della regista), e soprattutto si concentra senza dare tregua sulle lacerazioni del corpo di Emmanuelle Bercot, messo in mostra e martoriato con costanza lungo tutto il film: la Bercot reagisce con una performance forte e di totale, sincero abbandono alla mdp.
Ecco, quando nella lunga seconda sezione del film la vita di coppia diventa un incubo sotto sedativi, e Maïwenn dimostra qualche incertezza di troppo e una mano non sempre felice e dosata, e’ una fortuna che Mon Roi abbia l’orgoglio grande di Emmanuelle Bercot su cui sostenersi.

http://www.sentieriselvaggi.it/?p=940791

David Lynch torna a Twin Peaks

Dopo varie vicissitudini, il regista dichiara con un tweet che dirigerà e scriverà la terza stagione di Twin peaks in arrivo nel 2016
Qualche mese fa l’emittente americana Showtime ha annunciato che sarebbe arrivata una terza stagione dello show seminale Twin Peaks. Non un reboot, non un sequel, non un prequel: proprio una terza stagione di nove episodi. Scritta e diretta, naturalmente, da David Lynch (e prodotta dal produttore originale Mark Frost).
I gufi, però, non sono quel che sembrano e la faccenda si è rivelata più complessa di quanto non si immaginasse. Secondo la ricostruzione dei fatti, Showtime non avrebbe raggiunto un accordo economico soddisfacente con David Lynch, rischiando di fare una specie di omelette senza uova. Alla notizia, divulgata dallo stesso regista, della mancata partecipazione allo show, è seguita questa campagna realizzata dagli attori e addetti ai lavori della serie:
Crisi risolta, comunque. Con un tweet, Lynch ha dichiarato che – sì – alla fine sarà lui stesso al timone della terza stagione che celebra il 25esimo anniversario di Twin Peaks. Inoltre, gli episodi potrebbero essere più di nove. Evviva. Anche se non c’è ancora una data d’uscita confermata.
http://www.wired.it/play/televisione/2015/05/18/david-lynch-dirigera-nuova-stagione-twin-peaks/

Madonna da record: 45 prime posizioni in classifica, nessuno come lei

Sono 45 le prime posizioni che Madonna ha raggiunto nella classifica "Dance Club Songs" di Billboard. Un record dal momento che nessuno aveva mai raggiunto un numero del genere di singoli in prima posizione nelle singole classifica. Un record in più per la più grande icona del pop mondiale.
Nonostante i risultati alternati del suo ultimo album - che in verità in Italia ha ottenuto un buon successo riuscendo a raggiungere la vetta della classifica degli album più venduti, nella prima settimana d'uscita e restando successivamente in top ten – Madonna riesce comunque sempre a cadere in piedi. La cantante, infatti, è riuscita a stabilire un altro record che conferma la sua grandezza nel firmamento pop e in quello dance. Sì, perché Billboard, la rivista che stila anche la più importante classifica degli album venduti negli Usa, ha certificato "Ghosttown", ultimo singolo della cantante, al primo posto della classifica "Dance Club Songs". E con questa nuova prima posizione Madonna è per la 45a volta lassù, stabilendo un record. Nessuno prima di lei, infatti, era riuscito in questa impresa, ancora più importante se si pensa che "Ghosttown" la settimana scorsa era terza, quindi ha scalato nuovamente la classifica, permettendole questo risultato.
Un record che non riguarda solo questa classifica ma tutte quelle singole, passando le 44 di George Strait che ne aveva piazzate 44 in quella Country. Non trattiene la gioia la cantante, che su Facebook condivide uno screenshot tratto proprio dall'articolo di Billboard a cui ha anche mandato qualche parola in esclusiva: Grazie a tutti i miei fan, su e giù dalla pista da ballo. Sarò sempre la vostra compagna.
La Ciccone, così, conferma sempre più la distanza che la allontana da altre icone del pop e delle dancehall mondiali. Ed è sempre più imprendibile: basti pensare che due icone come Rihanna e Beyoncé, se sommano i propri primi posti non raggiungono quelli di Madonna (ne hanno 22 a testa).
Il brano, tratto da "Rebel Heart" è stato scritto assieme a Evan Bogart, Sean Douglas e Jason Evigan pensando a un mondo post apocalittico, come mostra anche il video, girato assieme a Terrence Howard:
Quando scrivo assieme a delle persone, come sempre cerchiamo di trovare un tema. Quindi, questa volta è stata una città dopo l'Armageddon.
http://music.fanpage.it/madonna-da-record-45-prime-posizioni-in-classifica-nessuno-come-lei/

B.B. King, l’altro re che l’America non ha mai avuto

Potremmo già appagarci, dormire sonni tranquilli, per quello che ci lascia in eredità: centinaia di dischi, un modo di suonare il blues rivoluzionario, la voce, la sua faccia. Non se ne va in punta di piedi, B.B. King, uno dei re che l’America non ha mai avuto. Magari, come tutti quelli che tirano l’ultimo respiro, lo avrebbe preferito, ma la sua morte è assordante. Perché è stato uno dei musicisti fondamentali, di, e per, sempre.
Un capolavoro lui stesso: non poteva più produrne, perché ormai lo era lui stesso. “The blue light was my blues”, cantava Robert Johnson, “and the red light was my mind”. Il blues e la mente, come la coscienza e il cuore di Huckleberry Finn, sono due soggettività distinte che agiscono dentro la stessa persona, come due luci diverse che non si incontrano mai anche se stanno sullo stesso treno.
Oggi quel treno ci è venuto addosso contromano, perché per noi che lo abbiamo amato B.B. King era e resterà immortale. Come la sua Lucille, la chitarra che aveva sposato, l’aveva accarezzata emettendo pianti, quando era il momento di piangere, e sorrisi, molto. Scrive Alessandro Portelli, tra i più autorevoli “americanisti” italiani, dell’America profonda, piena di colori scuri: “Il blues pianta tensioni e ossessioni universali dentro la specificità di una storia particolare, ed estrema. Può dare corpo alla sensazione moderna di perdita del possesso di sé proprio perché nasce nell’esperienza di essere posseduti legalmente, materialmente – merce prima, servi della gleba poi”.
B.B. King da lì arrivava. Il riscatto di una vita era visibile al collo, tra le dita, ricoperte di ori, nelle giacche costose e orripilanti: le pietre e le catene d’oro erano il segno di un passaggio di confine tra l’essere schiavi e celebrati.
Musicalmente ricordiamo tutto, e non c’è da aggiungere niente alle biografie più o meno farlocche. Raccoglieva cotone, la voce ce l’aveva nel Dna, la chitarra l’avrebbe studiata. Orfano, lavorava in una piantagione di cotone vicino a Memphis, là dove nacque l’altro re che l’America non ha mai avuto, Elvis Presley, e capì che poteva fare della musica un mestiere.
Negli anni si è esibito con tutti i grandi chitarristi, a partire da Eric Clapton, che gli deve molto, fino a Steve Ray Vaughan, Bo Diddley, Chuck Berry, senza fare torto a nessuno, tutti gli altri restano un gradino sotto.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/15/bb-king-laltro-re-che-lamerica-non-ha-mai-avuto/1687002/

Madonna: Ghosttown infrange un nuovo record!

Madonna regina dei record: Ghosttown è il 45esimo singolo ad arrivare alla prima posizione della Dance Club Songs Chart della Billboard.
Regina della pop music e regina dei record: Madonna con il singolo "Ghosttown", secondo estratto dall'album "Rebel Heart", ha infatti raggiunto questa settimana un ennesimo traguardo. Il brano, che è salito alla posizione #1 della classifica Dance Club Songs Chart della Billboard, è il quarantacinquesimo singolo della Ciccone ad aver raggiunto la cima di quella classifica segnando così un vero e proprio record. "Thanks to all my fans on and off the dancefloor, I'll (always) be your partner" ha dichiarato la cantante fra le pagine di Billboard. Il primo singolo ad aver raggiunto la prima posizione della classifica Dance Club Songs Chart è stato "Holiday" nel 1983. Il video di "Ghosttown" (ambientato in uno scenario apocalittico) è stato pubblicato lo scorso 8 aprile e segna già oltre 7 milioni di visualizzazioni su YouTube.
http://www.melty.it/madonna-ghosttown-infrange-un-nuovo-record-a159363.html

Vincent Cassel: ''Il film di Garrone è molto italiano''

Oltre sette minuti di applausi: c'è stata un'accoglienza calorosa per Matteo Garrone e il suo 'Racconto dei racconti' al Festival di Cannes. E Vincent Cassel, uno degli attori protagonisti parla così del film

CANNES, È IL GIORNO DI MATTEO GARRONE CON "IL RACCONTO DEI RACCONTI"

Al Festival applausi per il primo film italiano in concorso. Presenti alla proiezione anche i big del cast, da Salma Hayek a Vincent Cassel
Cannes 15 maggio 2015 Dopo lo sfavillio e la sfilata di star della cerimonia di apertura, il Festival di Cannes entra nel vivo ed è subito il momento del primo film italiano in concorso: “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone. Tratto dalla raccolta di fiabe di Basile, potrà contare sulla presenza delle stelle del cast, da Salma Hayek a Vincent Cassel, da John C. Reilly a Toby Jones. Film tratto da una raccolta di fiabe  “Se sei in competizione non ti basta partecipare”, ha dichiarato il regista romano. Detto da uno che a Cannes ha già vinto il Grand Prix Speciale della Giuria nel 2003 con “Gomorra” e nel 2008 con “Reality”, appare più di una frase di circostanza. Coprodotto tra Francia e Italia, “Il racconto dei racconti” è basato su una raccolta di fiabe napoletane, “Lu cuntu di li cunti”, scritta da Giambattista Basile e pubblicata tra il 1634 e il 1636. Applausi sul tappeto rosso E' la soirée di Matteo Garrone in concorso a Cannes con il suo ultimo film "Il Racconto dei Racconti". Pellicola applauditissima. La stampa straniera parla già di "capolavoro". Protagonisti Salma Hayek e Vincent Cassel, che vediamo nelle foto sul red carpet insieme al regista, nel cast anche John C. Reilly.











http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Cannes-il-giorno-di-Matteo-Garrone-con-Il-racconto-dei-racconti-be6240ea-182b-4bc0-a539-5c048eaa57f3.html

Coldplay: il nuovo album sarà A Head Full Of Dreams

Anche i Coldplay hanno deciso di affidarsi ai social network per ufficializzare il titolo del nuovo album. Arriva infatti dalla loro pagina Facebook ufficiale la conferma che il nuovo album sarà A Head Full Of Dreams:
The title of the band’s next album has been confirmed as “A Head Full Of Dreams” on the new Coldplay Timeline website! http://timeline.coldplay.com/
Una notizia che arriva insieme a quella dell’aggiornamento del nuovo Sito Ufficiale, che da oggi sarà navigabile seguendo la Coldplay Timeline, ovvero una sorta di linea temporale che parte dal 1997 (anno di fondazione della band) fino ad oggi e che conterrà tutte le ultime news e pubblicazioni della formazione guidata da Chris Martin.
Nel post comparso su Facebook c’è anche l’immagine di una nota scritta a mano dallo stesso frontman:
“Ciao a tutti, siamo in studio al lavoro su A head full of Dreams. Mentre succede questo Phil, Anchorman e Roadie hanno aggiornato la timeline. Questo è il risultato, ringraziamo loro e voi. Love, Coldplay”.
A Head Full Of Dreams sarà l’ideale successore dell’acclamato Ghost Stories.
Ed ora i fan del gruppo non attendono altro che l’ufficializzazione di un rumors che si è diffuso in rete negli scorsi giorni e che vorrebbe i Coldplay in concerto a San Siro entro quest’anno.
http://www.cubemagazine.it/coldplay-nuovo-album-titolo-a-head-full-of-dreams/