Prima di tutto, sigla: TFF (Torino Film Festival), definizione asciutta e svelta, amichevole. Poi, cifre: 25ª edizione, che indica un passato già sostanzioso, un quarto di secolo. Difficile da dimenticare, all’inizio con le uniche sale del cinema Massimo (1, 2, 3) piene di ragazzi col berretto di lana, ragazze con il piercing al labbro inferiore, allegrie, discussioni, generazione X, amici, abbracci di riconoscimento entusiasta, orgoglio di comportarsi bene. Stavolta (23 novembre) si comincia con i tormenti della famiglia, The Savages di Tamara Jenkins, amara commedia, fratello e sorella solitari riuniti dalla malattia del padre, Philip Seymour Hoffman e Laura Linney, tristezza. Si finisce (1 dicembre) con Eastern Promises di David Cronenberg, racconto sanguinoso, magnifica violenza, mondo dove il male e la malattia si confondono, psicopatici russi, Viggo Mortensen e Vincent Cassel, epidemie e miseria nelle ex terre del socialismo reale. Alcuni film (Noise, My Blueberry Nights) si son visti in festival precedenti, alcuni registi sono ben noti (Wong Kar Wai, Aleksandr Sokurov, Julien Temple, Wayne Wang, Pappi Corsicato, Corso Salani). Tra le 12 sezioni sono incantevoli quella dedicata ai primi film di bravi registi italiani (Un uomo da bruciare dei Taviani, La sfida di Rosi, Chi lavora è perduto di Tinto Brass, Il terrorista di De Bosio, La lunga notte del ’43 di Vancini) e quella che raccoglie film italiani in anteprima (il debutto di regista di Bentivoglio, Lascia perdere Johnny, La signorina Effe di Labate, altri): nostalgia struggente e curiosità urgente nell’innamoramento per i film. Le retrospettive di Wim Wenders e di John Cassavetes evocano i titoli amati divenuti proverbiali e usati per definire la vita di ciascuno (Faces, Opening Night, Falso Movimento, Lo stato delle cose, Nel corso del tempo), film bellissimi (di Al di là delle nuvole si dice «co-diretto con Michelangelo Antonioni»). Le rassegne di documentari e piccoli film, italiani oppure no, sono di gran ricchezza. Il nuovo direttore Nanni Moretti, pure lui debuttante nel 2007, ha rispettato quella natura del TFF che ne ha fatto nel tempo il festival italiano più rispettato: cine-manifestazione urbana senza mare né villeggiature gratuite né turismo, legata alla città nobile, bella e malinconica in cui si svolge, frequentata da un grande pubblico còlto (o quasi); l’unica che abbia l’ambizione di far conoscere il cinema più bello, nuovo e creativo del mondo. Moretti dà al TFF un tocco di leggerezza non futile, il proprio amore per il cinema; vuole controllare ogni possibile elemento del festival; ha migliorato l’organizzazione con nuove sale e possibilità. Speriamo che il TFF non si dilati troppo, come è accaduto a tanti altri festival, pantografati mentre i film loro nutrimento venivano a mancare e gli organizzatori erano costretti a ripiegare sulle opere più commerciali in imminente uscita. Speriamo che il TFF possa inaugurare (l’anno prossimo, magari) l’innovazione necessaria a tutti i festival cinematografici (troppo lunghi e troppo fitti, sinora), permettendo agli spettatori di vedere con calma i film, anziché correre affannati da una sala all’altra inseguendo un altro cinema.
LIETTA TORNABUONI