Il nuovo film del regista cult di Portland, già premiato a Cannes, sarà nelle sale il 7 dicembre.
"Paranoid Park. E' questo il punto di partenza. Il Paranoid Park è un ritrovo per skater nel centro di Portland. Sta sotto l'Eastside Bridge, dalle parti dei vecchi magazzini. E' uno skaterpark non autorizzato, non ci sono regole né padroni e per entrare non si paga. (...) Ci vanno degli skater pazzeschi, gente che arriva dalla California, dalla East Coast e un po' da ogni parte. E' anche un punto di ritrovo per i ragazzi che vivono per strada. Si raccontano mille storie, come quella di uno skinhead che una volta è stato accoltellato. Per questo lo chiamano Paranoid Park: perchè è pericoloso, insomma fa brutto".
A parlare è Alex, in prima persona. Alex è un adolescente di Portland, è uno skater, ha una famiglia disastrata ed un amico, Jared. Jared un giorno lo porta a Paranoid Park ed Alex confessa a Jared di non sentirsi abbastanza bravo, di non sentirsi pronto. Jared gli risponde: "nessuno è mai pronto per Paranoid Park".Alex è il protagonista di Paranoid Park, il romanzo di Blake Nelson che esce per la prima volta oggi in Italia per Rizzoli e dell'omonimo nuovo film di Gus Van Sant, in uscita nelle sale il 7 dicembre.Dopo lo spiazzante 'Elephant' sulla strage nel liceo di Columbine e la parentesi di 'Last Days', personale reinterpretazione del suicidio di Kurt Cobain, Van Sant torna all'adolescenza come non-luogo in cui in realtà "nessuno è mai pronto". Lo fa con la storia di un ragazzo timido, spaesato, normale. Un ragazzo con un divorzio in famiglia, un padre assente e mai abbastanza parole per chiedere aiuto. Quando il padre gli chiede cosa può fare per lui, Alex resta muto. Perchè non sa di cosa ha bisogno.
Paranoid Park è la storia dostoievskiana di una colpa di cui il protagonista si fa carico (l'involontario omicidio di un agente di sicurezza) e con la quale non riesce a fare i conti. Ma se in 'Elephant' l'inadeguatezza e il male di vivere sfociavano nella violenza più estrema della strage, qui non riescono a trovare sfogo. Alex non ha una guida, figurarsi se può fare i conti con qualcosa di tanto grande e tanto grave. Eppure resta sempre innocente. Van Sant ha dichiarato: "Sono sicuro che esistano adolescenti non innocenti, ma credo che siano rari. In ogni caso quelli dei miei film lo sono. Sempre. Sono innocenti anche quando diventano killer. A guardare indietro nelle loro vite c´è sempre un problema; sono stati a loro volta vittime, anche dei genitori. Per questo sono basicamente autodistruttivi. Sono colpevoli di sparare sui loro compagni di scuola, certo, ma lotterebbero contro qualunque cosa pur di liberarsi da un peso". E allora a lui non resta che osservarli, seguirli, contemplarli. Nella loro deriva interiore, ma con uno sguardo che non è mai completamente esterno, perchè non è mai quello "della generazione dei padri". E lo sguardo di Van Sant (complice la fotografia di Chistopher Doyle, già al lavoro per Wong Kar-Wai) in Paranoid Park è davvero parte della storia: decostruendo completamente l'asse temporale della narrazione e alternando il 35 mm del cinema classico, al super 8 semi amatoriale delle evoluzioni degli skater, continui ralenti che segnano la deriva di Alex e una partitura musicale e sonora che fanno da contrappunto all'incapacità dei protagonisti di fare i conti con se stessi.
Stupefacente come il regista di Portland riesca sempre e comunque a trovare dei volti in grado di incarnare perfettamente non tanto un protagonista, quanto l'adolescenza come stato d'animo.Questa volta, a parte la bionda Taylor Momsen-Jennifer, tutti gli attori sono non professionisti e per la maggior parte veri skater, trovati con un annuncio su MySpace. Il giovanissimo Gabe Nevins, Alex nel film, si era presentato per fare la comparsa ed è finito per essere scelto come protagonista di quello che è l'ennesimo capolavoro di Van Sant, già premiato a Cannes con la palma del 60esimo anniversario.Anche questa volta, un film per il quale sicuramente "nessuno è veramente pronto" e che alla fine ci lascerà inquieti, imperfetti, incompleti. Come eravamo all'inizio. Sotto il cielo di Portland.
Alessia Gargiulo