Sky - Mgm ondata di film

«Non mi sento un’icona, preferisco pensare di aver un buon lavoro alle spalle e di aver fatto le scelte artistiche giuste». Pallido, polo nera, pantaloni beige, robusto, non molto alto, Matt Dillon ha la determinazione e l’aria sorpresa, sulla stessa faccia, di Jimmy, il piccolo avventuriero dell’unico film che abbia anche diretto, “City of Ghosts”, ambientato in una Cambogia sfiancante di umido e traffici loschi. Premiato con il Legend Award all’Ischia Film & Music Global Fest che Pascal Vicedomini ha condotto in porto per il sesto anno e che celebra soprattutto il miglior cinema americano, Dillon, 44 anni, è anche l’interprete di “Drugstore Cowboy”, uno dei film-culto che Sky manderà in onda su The Mgm Channel dopo l’esordio del super matrimonio celebrato il primo giugno. L’unione fa la forza e già nei prossimi giorni la più grande riserva aurea di film hollywoodiani passerà su Sky, fra gli altri, “Lenny” con Dustin Hoffman, “New York New York” con la coppia De Niro-Minnelli, “Mai dire mai” con Sean Connery, l’inquietante e originale “Amityville Horror”, sconfinando ad agosto nella commedia amara di Woody Allen con “Stardust Memories”, “Un’altra donna”, “La rosa purpurea del Cairo” e “Settembre”, per festeggiare il 16 i cinquant’anni di Madonna con “”Body of Evidence” e “A letto con Madonna”. Tanta profusione di buon cinema fa dire al vice presidente di Mgm Network, Bruce Tuchman «la nostra è un’offerta per cinefili: abbiamo voluto soffermarci sui film senza tempo, quelli che hanno fatto l’epoca d’oro, piuttosto che concentrarci solo sulle nuove uscite». In realtà a Ischia vengono annunciate dieci novità appena acquistate da Mgm, che verranno proposte fra il 2009 e il 2011, dal “Matarese Circle” con Denzel Washington, tratto da un classico di Robert Ludlum, autore della serie “Bourne”, a “The Zookeeper” e “Red Dawn”. Inoltre Mgm ha aperto una collaborazione con Paul Haggis, due volte premio Oscar per “Crash” proprio con Dillon. Haggis, a Ischia anche come presidente onorario per il 2008, è un uomo garbato e pungente: «Ho rivisto Dillon in “Drugstore Cowboy” e, sì, concordo con lui che ai tempi è stata una vera sfida e che per essere giovane fu davvero bravo. Fortunatamente oggi, nel cinema americano, ci sono giovani altrettanto promettenti, che prendono il loro lavoro con molta passione e altrettanto scrupolo. Non faccio mai nomi, ma nel mio ottimismo-pessimismo credo che Hollywood non se la passi poi male. Anche grazie a loro». E nel corto circuito emotivo che a meno di vent’anni provoca ancora “Drugstore Cowboy”, l’allora emergente Matt, idolo di quello strano viatico che in America ha sempre fatto la fortuna del “troubled youth”, i tormenti delle nuove generazioni, è ancora più emblematico di un tempo. «Certo che vedermi oggi mi fa uno strano effetto» spiega Dillon «intanto all’epoca pensavo che il film di Gus Van Sant non sarebbe mai uscito. Il tema non era dei più facili e l’atmosfera che si respirava sull’uso delle droghe era davvero pesante. C’era una campagna di Nancy Regan contro gli stupefacenti e tutto congiurava contro di noi. Se invece penso alla mia recitazione, riconosco che avrei potuto fare meglio. Ma questo fa parte della vita: guardarsi indietro vuol dire anche accettarsi». Si trova d’accordo Haggis: «Le sfide bisogna farle con se stessi, almeno nel mio caso valgono le mie opinioni e non quello che può pensare il pubblico su un film o su una storia. Sul fatto, poi, che “Crash”, ambientato in più storie simultanee a Los Angeles, abbia cambiato qualcosa nel cinema americano è gratificante, ma non ambisco a tanto». Haggis e Dillon sono molto uniti. «Grazie a lui ho ricevuto una nomination all’Oscar, e sono occasioni rare anche in un mondo strepitante come quello di Hollywood. Certo, alla fine noi attori non facciamo film per ricevere premi ma per lasciare una traccia, qualcosa che possa essere straordinario, diverso da quello che si vede normalmente sullo schermo» dice l’attore che presto sarà un uomo di legge in “Nothing But The Truth” di Rod Lurie, accanto a Kate Beckinsale «è stato un ruolo inedito, la prova che non bisogna mai fermarsi. Per dirla tutta, io preferisco i ruolo drammatici, mi ci trovo più a mio agio, mentre le commedie sono più difficili da recitare. Del resto, per evitare sbagli, cerco sempre di farmi convincere allo stesso modo dal regista, dalla sceneggiatura e naturalmente dalla parte che devo recitare». Sulla crisi economica americana, che sta investendo anche il mondo degli attori sull’orlo dello sciopero, Haggis pone molte speranze sull’elezione di Barack Obama: «Credo che sognare sia importante perché dà una visione, uno slancio positivo non molto diverso da quello che devono avere gli artisti, attori o registi che siano». Dillon sposta l’attenzione sul beneficio che una crisi può ispirare ai film: «Dai momenti difficili, di solito, riusciamo a esprimere il meglio». L’attore non si vede come sex symbol: «Trovo noioso parlare di me e ancora di più puntare sul fisico e sulla seduzione. Se non sei autentico, non vali nulla».
RENATO TORTAROLO