Robyn Hitchcock, GOODNIGHT OSLO

Il riff swamp rock di “What you is”, traccia numero uno, sembra arrivare dritto dritto da un vecchio vinile dei Creedence. E l’uomo al microfono potrebbe anche essere scambiato per Steve Wynn, il rocker di Los Angeles che oggi vive a New York. Invece è Robyn Hitchcock, l’erede designato di Syd Barrett che due anni dopo “Olè! Tarantula” si diverte un’altra volta a fare l’americano. Con Peter Buck (chitarra), Scott McCaughey (basso) e Bill Rieflin (batteria) alias i Venus 3 a fargli nuovamente da spalla, lui è il frontman e l’inglese del gruppo, “come Davy Jones nei Monkees e Graham Nash in CSN&Y”. E a dispetto di un titolo che rievoca i ricordi annebbiati di una notte norvegese di tanti anni fa, la musica sa poco di nordico e molto di frontiera americana (“Hurry for the sky”, per esempio, è una piccola locomotiva che singhiozza a ritmo di shuffle e sferraglia come una chitarra slide) quando non di California adolescente e festaiola, con una “Saturday groovers” clamorosamente beachboysiana, tutta coretti surf, fiati spensierati e chitarra fuzz in stile “Nuggets”.“Music for fun”, a prima vista, e dieci canzoni quasi sempre a passo spedito, senza starci troppo a pensare. Con il jingle jangle di Buck sempre in bella evidenza (la title track, la squillante e semiacustica “Intricate thing”), e tante belle voci ad armonizzare di contorno: Colin Meloy dei Decemberists, Sean Nelson degli Harvey Danger, la gallese Lianne Francis, il Morris Windsor reduce dalle campagne anni Settanta e Ottanta con Soft Boys ed Egyptians. Il chitarrista dei R.E.M. mette anche la firma nel pezzo più luccicante della collezione: un folk rock ipnotico e penetrante che apre la seconda facciata virtuale del disco e che di nome fa “Sixteen years”, arpeggio di chitarra in stile Davy Graham e Bert Jansch e armonica lancinante, un suono transatlantico coerente con il percorso di un album registrato tra Londra, Seattle e Tucson. Da sola, vale il disco. Il resto viaggia a buona velocità di crociera, fluido e leggero ma non superficiale, e peccato che nel sottile libretto decorato dai surreali disegnini di Robyn non ci sia posto per i testi (brutta abitudine sempre più diffusa, quella di ometterli dalla confezione dei cd). “Up to our nex”, uno degli episodi più vivaci con qualche retrogusto ska/caraibico, è piaciuto così tanto all’amico Jonathan Demme che il regista ha deciso di includerlo nella colonna sonora di “Rachel sta per sposarsi”, il suo ultimo film con Anna Hathaway e Debra Winger protagoniste e in cui Hitchcock si ritaglia un fuggevole cameo. Lì è la sezione fiati a spargere un pizzico di pepe sulla pietanza, mentre un sax e una spolverata d’archi conferiscono a “TLC” un sapore nostalgico da balera anni Cinquanta. Tutto qui: canzoni lineari ma brillanti, lievi e scanzonate. Non aspettatevi miracoli, non è più tempo e in fondo a “Goodnight Oslo” manca lo spessore arguto di un disco come “Spooked”, affascinante e spettrale operina acustica confezionata qualche anno fa in compagnia di altri amici americani, Gillian Welch e David Rawlings. Lo sa anche Hitchcock che certe ambizioni giovanili sono destinate a non realizzarsi (“le mie”, ha detto una volta, “erano viaggiare nel tempo, guarire gli ammalati e levitare”). E che incrociare penna, voce e chitarra con altri musicisti (ultimamente ha suonato con Ryiuchi Sakamoto, scritto canzoni con KT Tunstall) è un bel modo per uscire dalla crisi di mezza età e dalla routine ripetitiva. Ma allora che aspetta a tirar fuori dal cassetto le altre canzoni che ha scritto con Andy Partridge degli Xtc, eccentrico e very British quanto lui?
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