Burbero d’indole, ama solo la compagnia del fedele cane Daisy e della Ford Gran Torino, custodita in garage e coccolata con tenerezza. La sua ordinaria esistenza, protetta da un onnipresente e inesploso fucile M-1, viene “disturbata” dall’arrivo di vicini, manco a farlo apposta, provenienti dal sudest asiatico, da lui tanto detestato. Ogni profferta di cordialità viene, infatti, respinta dall’uomo, che, addirittura, diventa piú cattivo quando scopre il giovane Thao (Bee Vang) intento a rubargli l’adorata vettura. Il drammatico scontro razziale si trasforma, però, in un lento e graduale avvicinamento, nel momento in cui Walt si rende conto, inaspettatamente, che gli "alieni" della porta accanto sono, in realtà, persone amichevoli e, tra l'altro, oggetto di minacce da parte di una temibile gang asiatica. Costato 35 milioni di dollari, il film piú “piccolo” e intimo diretto da Eastwood si è, invece, dimostrato il maggior successo della sua carriera al box office con un guadagno che, solo in patria, ha superato i 120 milioni di dollari. Snobbato, ingiustamente, agli Oscar, quello che potrebbe essere l’ultimo lungometraggio interpretato dall’inimitabile Clint ha stupito, invece, pubblico e critica per vigore narrativo e ricchezza tematica. Il punto di partenza è, ovviamente, una profonda riflessione sul razzismo, ancor oggi, ineliminabile dal complesso tessuto sociale statunitense, che si trasforma, poi, in una forte denuncia contro i sistemi violenti utilizzati ad ogni livello e la diseducazione alla solidarietà umana. L’estremo tentativo di Eastwood, ben sorretto dalla voglia di cambiamento generata dall’era Obama, è, soprattutto, quello di invitare i compatrioti, e il mondo intero, a riporre, definitivamente, in un cassetto l’arroganza e il sopruso, metaforicamente, rappresentati dalla mitica 44 Magnum dell’altrettanto mitico Ispettore Callaghan, affermando, laconicamente, che “non è tempo di poliziotti estremi ma, questo sì, di pene appropriate, sistemi educativi che funzionino e coraggio nel comprendere gli altri”.
A cotanta inequivocabile e sublime lezione morale di derivazione yankee, la Francia risponde con il controverso “Nemico pubblico N.1-L’istinto di morte” (Parte 1) di Jean –François Richet, premiato in patria da ragguardevoli incassi e ben due Cèsar. Quello al protagonista Vincent Cassel sembra, giustamente, indirizzato in quanto l’attore, assorbendo in pieno il metodo De Niro, si è completamente immerso nella parte del gangster Jacques Mesrine arrivando, addirittura, ad ingrassare 20 chili. Tratta da due libri autobiografici, scritti da Mesrine stesso, la pellicola avrà, in realtà, una seconda parte, in uscita il 17 aprile, al fine di narrare, in maniera incisiva e particolareggiata, la vita del malvivente piú violento e ricercato di Francia degli anni Settanta. In questo film l’obiettivo è, essenzialmente, puntato sulla sua formazione al male e sul rapporto inquieto con le donne, tra le quali spicca, però, il nome di Jeanne Schneider (Cécile De France), l’unica, forse, che egli abbia mai amato. A metà tra il noir e il biopic, il lungometraggio si annuncia denso di adrenalina e colpi di scena, capaci di portare al cinema un numero di spettatori tale da ammortizzare la notevole cifra (80 milioni di euro) spesa per produrlo.
Agli italiani pare non rimanere che le briciole, anche se “La matassa”, scritto, diretto e interpretato da duo comico siciliano Ficarra e Picone, potrebbe ripetere l’exploit dello scorso anno (il fortunato “Il 7 e l'8”), e il drammatico “Il soffio dell’anima” di Victor Rambaldi potrebbe, invece, richiamare in sala i fan televisivi del divo da fiction Flavio Montrucchio.