Commento ai Premi - Venezia 2009

Quando anche l'ultimo vaporetto abbandona le placide acque che circondano il Lido di Venezia è tempo di bilanci e commenti. Quest'anno la Mostra ha portato sul tappeto rosso Maestri come Werner Herzog, l'esordiente di lusso Tom Ford, il cinema d'animazione di John Lassater, l'affresco kolossal - popolare Baària, le sfuriate del ministro Brunetta e il gossip più caciarone con Patrizia D'Addario e Noemi Letizia. Ritratto di un'Italia in cui cultura, politica e pettegolezzo sembrano aver perso di vista i propri, rispettivi, confini, Venezia non nasconde la sua vocazione cinematografica d'essai, premiando il film di Samuel Maoz che racconta la prima guerra del Libano attraverso gli occhi di un Carro Armato inviato in perlustrazione in una cittadina appena bombardata dall'Aviazione Israeliana. Lontani dal comando e senza alcuna via di fuga, i componenti dell'equipaggio dovranno avanzare fino al cuore di tenebra delle battaglie, scoprendosi deboli e indifesi. Non eroi, ma semplici ragazzini senza nessuna voglia di morire in nome della patria. Osannato dalla critica e molto amato anche dalla giuria, presieduta da Ang Lee, Lebanon si inserisce in quel filone introspettivo che sembra aver dato nuova linfa al cinema israeliano. Insieme al recentissimo Valzer con Bashir, il film di Maoz rilegge uno degli eventi più laceranti della storia recente dello Stato Ebraico senza paraocchi ideologici e inutile tracotanza, un viaggio nel Sentimento Nazionale e, contemporaneamente un crudo ritratto delle forze armate israeliane.Oltre il Leone d'oro, atteso e previsto dalla maggior parte della Critica, gli altri premi sono stati assegnati, a detta degli stessi giurati, con difficoltà molto maggiori. La maggior parte dei film ha spaccato in due o più fronti la giuria, costringendo il Presidente a lavorare da mediatore, per arrivare a un verdetto che accontentasse le varie istanze. Il Leone d'Argento per la Miglior Regia è andato all'iraniana Shirin Neshat, per il suo Women without men, dolce racconto d'amicizia fra quattro donne sullo sfondo della Teheran in rivolta dopo il tentato colpo di stato organizzato dalla C.I.A per portare al governo Reza Palhevi. Il film, tutto girato sull'onirico sfondo di un giardino di Orchidee in fiore, è un delicato ritratto che celebra la donna nella sua unicità, lasciando i grandi eventi politici e militari (per definizione maschili) in secondo piano preferendo concentrarsi sulla scoperta dell'indipendenza, contrapponendo alla guerra degli uomini la complicità femminile. Passando agli interpreti, è meritatissima la coppa Volpi consegnata a Colin Firth per la sua parte in A single man, l'esordio alla regia dello stilista Tom Ford; tracciando il ritratto di un professore inglese che deve elaborare il lutto per la perdita del suo Compagno, Ford esplora il mondo omosessuale con occhio attento e privo di pregiudizi, senza però indulgere nell'autocompiacimento tipico di un certo cinema gay. Ford, omosessuale dichiarato, affronta i sentimenti con fare maturo e senza melensaggini, aiutato dall'understatement tutto british di un attore di razza come Colin Firth, tanto poliedrico da essere credibile sia come ex fidanzato di Meryl Streep in Mamma Mia! sia nell'impegnativo ruolo del protagonista di A Single Man. Se la premiazione di Firth conferma la grandezza della scuola inglese, anche l'Italia ha i suoi motivi per sorridere; Ksenia Rapponport (russa di nascita ma, ormai italiana d'adozione), infatti, ha conquistato la Coppa come miglior interprete femminile per La doppia ora, film d'esordio di Giuseppe Capotondi, dedicato alla storia d'amore che nasce fra un frequentatore abituale di speed date e un'immigrata Slovena che lavora come cameriera. Forse non riuscitissimo nel complesso, il film di Capotondi comunque permette alla Rapponport di esprimersi in un'ottima prova d'attore, che conferma il suo grande talento. Anche il Premio Mastroianni per il miglior esordiente è andato a una delle nostre migliori promesse, la giovanissima Jasmine Trinca che, nonostante i trent'anni non ancora compiuti, ha già firmato interpretazioni di tutto rispetto con Giordana, Moretti e Veronesi, al fianco di attori come Luigi lo Cascio, Riccardo Scamarcio e Silvio Orlando. Ne Il Grande Sogno interpreta una studentessa universitaria appassionata nella Roma del '68, che, dopo aver conosciuto Nicola (un poliziotto incaricato di infiltrarsi nel movimento studentesco, interpretato da Scamarcio) e Libero, operaio - studente che sogna la rivoluzione proletaria, scoprirà l'amore e la lotta politica, arrivando addirittura a scontrarsi con la sua famiglia, di forti tradizioni cattoliche.Ingiuriato in maniera vergognosa dal ministro Brunetta ("questo cinema non è arte", ha sentenziato senza neppure aver visto il film), ma apprezzatissimo dal pubblico lagunare, Placido attraversa la "sua" contestazione veleggiando fra l'intimismo dei "sognatori" di Bertolucci, senza però scadere in alcuni eccessi morbosi, e la grande narrazione in stile Nascita di una Nazione, che Giordana aveva abbracciato ne La Meglio Gioventù. Mischiando autobiografia (Placido, prima di iscriversi all'Accademia era un Celerino e aveva partecipato alla repressione dei primi moti Universitari) e lirismo, Placido inciampa nella nostalgia e tenta di trasformare il film in un Ritratto dell'Artista da giovane, sopprimendo però molte sfumature che invece ritroviamo sia nel lavoro di Bertolucci che in quello di Giordana. Le soddisfazioni per il nostro paese, però si fermano qui, l'ultrapompato kolossal di Salvatores è rimasto senza alcun riconoscimento, così come l'ultimo lavoro della Comencini, cui non è arrivato nemmeno il premio per Margherita Buy che sembrava scontato in un'ottica tutta italiana di spartizione dei riconoscimenti. Sconsolato anche Herzog che, forse, per il suo remake de Il cattivo Tenente avrebbe meritato quantomeno un riconoscimento speciale, così come Michael Moore che aveva infiammato il pubblico con Capitalism: A Love Story.In definitiva questa sessantaseiesima Mostra del cinema di Venezia, come spesso accade, non ha saputo accontentare tutti ma stavolta, a differenza degli ultimi anni, la difficoltà è stata data da molti film di alta qualità anziché da un cartellone poco esaltante. Finalmente la kermesse Lagunare ha deciso di fare seriamente concorrenza a Toronto e, soprattutto Cannes, non riuscendo ancora però del tutto a coniugare il grande cinema d'arte con le necessità dello Show - Biz, incorrendo in inconvenienti molto poco eleganti come il Red Carpet per la D'Addario o le insensate esternazioni di Brunetta e Bondi che non hanno perso occasione per mostrare la loro totale incapacità comunicativa nonché una certa maleducazione nell'usare le serate di Gala per lanciare "avvisi ai naviganti" rivolti al CdA e ai Dirigenti della Biennale. Venezia comunque quest'anno può considerarsi promossa a voti quasi pieni, sperando che nelle prossime Edizioni continui questo fine lavoro di aggiornamento e cesellatura che Muller e il suo staff stanno portando avanti, nonostante le resistenze di alcuni ambienti.
Nicolò Carboni