La Recensione. MADONNA Celebration (Warner Bros.) 2009

di Marco Sgrignoli
Un volto warholiano si staglia da linee di testo fittissime. Il volto non è quello di Marilyn Monroe, ma della popstar che più di ogni altra simboleggia gli ultimi venticinque anni: Madonna.Il testo sullo sfondo è quello delle canzoni di cui vive il mito. Madonna è il quadro che emerge, il denominatore comune, l'immagine che scaturisce dai continui cambiamenti della sua musica.Qualcosa di estremamente effimero, specie per una “material girl”. A differenza dell'altro grande camaleonte del pop, David Bowie, musica e cambiamento non servono a Madonna per esprimersi: sono qualcosa di molto più importante, sono la conditio sine qua non della sua esistenza. Madonna non è un'individualità che veste i panni dello Ziggy Stardust o del Duca Bianco di turno per portare in scena la propria nuova idea di musica. Madonna – l'icona Madonna – esiste solo come somma dei suoi successi; è sempre sé stessa perché non è una persona umana, ma un demone del music business ospitato nel corpo e nella voce di una qualsiasi Veronica Ciccone. Cessare di cambiar volto, cessare di essere sulla cresta dell'onda, equivarrebbe ad abbandonare per sempre il mondo degli umani a cui ama mischiarsi per esercitare il suo dominio.“Celebration” è la raccolta monumentale di trentasei hit che hanno definito l'ultimo quarto di secolo, ed è per l'impero del pop quello che “Il principe” è per il potere rinascimentale. Un compendio lucido e smaliziato di capolavori di strategia e istinto darwiniano, aggiornato all'era della popular culture.Nei ventisette anni che separano “Everybody”, il suo primo singolo, da “Celebration”, Madonna ha giocato con scaltrezza, impiegando ogni release come pedina che potesse portarla avanti in quel disegno di conquista che è insito nella sua natura di predatrice. Questa compilation è l'occasione migliore per studiarne le mosse.
1. La costruzione del mito
(“Material Girl”, “Like a Virgin”, “Papa Don't Preach”, “Like a Prayer”, “Erotica”, “Frozen”)
Due sono i pezzi che, più di tutti, hanno scolpito l'immagine di Madonna come simbolo controverso, cinico e provocante dell'entusiasmo monetarista degli anni Ottanta: “Material Girl” e “Like a Virgin”.Material Girl è di fatto il manifesto da cui prende vita l'icona Madonna: “Some boys kiss me, some boys hug me / I think they're OK / If they dont give me proper credit / I just walk away”. Non c'è critica sociale nel ritmo e nel tono di voce, né il tutto suona come confessione ammessa quasi vergognandosene. Il passo è sicuro (in due tempi, come le marcette militari) e frivolo allo stesso tempo; il tema strumentale si crogiola in un sound pieno e rovente, quasi manzaneriano, facendo vanto della sua inconsistenza emozionale.Il ritornello, poi, è un proclama entusiastico, nuovo verbo per un mondo che finalmente si spalanca lasciati alle spalle moralismi e utopie: “'Cause we are living in a material world / And I'm a material girl”. Causa-effetto: Madonna si presenta come il prodotto più avanzato della selezione naturale, l'homo sapiens materialis portato in gloria da un intreccio scintillante di synth-chitarra. Una spirale ascendente che presenta l'assoluta materialità come massimo traguardo spirituale.Like a Virgin incede su un passo altrettanto deciso e anti-romantico. Nel video, Madonna non ha occhi che per sé e per il suo pubblico: il suo io robotico non sa che farsene di un uomo, non ammette pertugi per smancerie amorose.Eppure “I was beat incomplete/ But you made me feel/ Shiny and new”. Le ultime parole sono accompagnate da un'apertura del ritmo, una linea vocale ascendente e speranzosa, una serie di bordate di synth cariche di enfasi. “Like a virgin/ Touched for the very first time/ Like a virgin/ When your heart beats/ Next to mine”. Un robot dal cuore umano, si direbbe, ma pur sempre un robot, come conferma la ripresa del passo uno-due assieme a queste parole. Una creatura irraggiungibile verso cui raddoppia il desiderio, riacceso dalla capacità di ritornare alla “prima volta” grazie al solo battito del cuore di chi saprà sedurla.Papa Don't Preach gioca su un campo diverso. Dopo diversi pezzi d'amore impeccabili (“Borderline”, “Crazy for You”, “Live to tell”) che però non sfruttano il personaggio Madonna e non contribuiscono ad arricchirlo, per la prima volta Madonna veste esplicitamente i panni di qualcun altro. Paradossalmente, è proprio il suo personaggio a guadagnarne, acquistando finalmente spessore scenico: prima si poteva sospettare che Madonna fosse solo una maschera, ma l'assurdo di una maschera che indossa una maschera spinge a ritenere Madonna un individuo reale. Con “Papa Don't Preach”, dunque, la calata di Madonna nel mondo degli umani è completata.L'espediente è un tema sociale, quello della maternità giovanile. In prima persona e con voce spezzata, Madonna riporta il discorso di un'adolescente, che esprime al padre la volontà di non abortire. L'enfasi è accentuata da una sezione di archi (sintetica) che si somma all'imponente groove discendente del basso elettronico, creando un sound magniloquente e melodrammatico.Like a Prayer affina la tecnica, e la porta a un nuovo livello. Il quadro della passione “come una preghiera” cozza con l'immagine di “material girl” che Madonna si è sapientemente costruita e si guarda bene dal rinnegare. Il video sul sacrilego andante (con tanto croci in fiamme e santi che si fanno carne – anzi, carnali) è la miccia per far esplodere l'enorme successo del brano.La potenza evocativa ha però la sua chiave di volta sul piano musicale. All'ormai consueta matrice disco-pop, si affiancano organo da chiesa e coro gospel che assieme disegnano una cattedrale di pieni e vuoti ritmici. La strofa si pone come momento di raccoglimento, priva di supporto percussionistico: lascia che la tensione si accumuli e prelude all'esplosione del ritornello. Un'estasi mistica di chitarre disco e botta-e-risposta gospel, portata all'apoteosi da una coda mozzafiato in ritmo e voce si liberano da ogni costrizione formale lanciandosi in voli e rimbalzi melodici. La passione come preghiera e la preghiera come danza collettiva, ovvero la discoteca come tempio della passione: un cardine della musica black che entra di prepotenza nella cultura mainstream, mai esposto in maniera così esplicita e immaginifica. E Madonna, al centro della scena, è la sacerdotessa di questa messa pop.Erotica è un tuffo nell'ambiguità di un pezzo mai così provocante e mai così decostruito. “Erotica, romance/ My name is Dita/ I'll be your mistress tonight/ I'd like to put you in a trance”: Madonna sveste i suoi panni solo per essere autorizzata a rivelarsi fino in fondo, in un gorgo lento e ipnotico di frammenti amorosi, espliciti e conturbanti. Il video accosta immagini sconnesse, confuse e sensuali, la voce è un sussurro ammaliante, la base una risacca trip-hop che slega il pezzo da ogni logica temporale. Con una costruzione fortemente astratta, perfino fredda, Madonna riesce ad assumere il controllo anche nei recessi più privati dell'immaginario erotico.Frozen, anni dopo, segna l'avvicinamento all'immaginario new age. Di nuovo sacerdotessa, dunque, ma di un culto pagano, misterioso e in qualche modo ancora più profondo e spirituale. Questa volta, le parole c'entrano poco, anche se la strofa (in teoria inserita in un contesto cuore-amore) indica metaforicamente la direzione del pezzo: “You only see what your eyes want to see/ How can life be what you want it to be/ You're frozen/ When your heart's not open”.Sono soprattutto il video e l'aspetto strettamente musicale a evocare un'aura mistica attorno alla canzone. Nel primo, Madonna appare nerovestita in mezzo a un paesaggio spettrale, i capelli corvini e le mani solcate di arabeschi d'henné. L'atmosfera è carica di fascinazioni orientali, la regia e le immagini puntano tutto su un ascetismo di stampo dark.Le medesime suggestioni animano l'aspetto musicale: ogni strumento svolge una funzione altamente atmosferica dalle percussioni rarefatte e riverberate dell'introduzione al pulsare ovattato del sintetizzatore. Il tappeto ritmico è di nuovo una trance di matrice trip-hop, molto meno nervoso che in “Erotica” ma più stratificato e ricca di dinamica. Quello che si crea è uno spazio ampio, saturo di silenzio, in cui prendono il volo fumi d'archi mediorientali e una salmodia vocale raffinata e sinuosa.
2. L'architettura del groove
(“Everybody”, “Holiday”, “Lucky Star”, “Into the Groove”, “Express Yourself”, “Ray of Light”, “Music”, “Sorry”, “Celebration”)
Everybody è il singolo di lancio di una Madonna che, all'epoca, ancora non era Madonna: chi comprò il disco arrivò perfino a scambiarla per un'artista nera. In effetti, lo schema del pezzo è un'electrodisco dalla marcata componente black nelle ritmiche. Holiday è volendo ancora più smaccatamente disco: chitarre asciutte in vamping, svolazzi di synth Chameleon-style e ghirigori d'archi. In effetti, si tratta di una composizione rifiutata da due ex componenti delle Supremes, la cui traccia strumentale era già stata completata prima di essere proposta a Madonna per il suo album. Il lavoro ritmico è comunque più complesso: spiccano in particolare le percussioni finto-tribali, le serie di rapidi colpi di hi-hat che ricorrono nelle sezioni strumentali, l'estro pianistico che chiude la canzone e rappresenta l'unica aggiunta sostanziale alla base in fase di produzione.Lucky Star, frutto di numerosi riarrangiamenti voluti da Madonna per la composizione (peraltro sua), è ancora più intricata sul piano ritmico, ma resta sostanzialmente sullo stesso schema. Lock di chitarra funky, basso e batteria elettroniche, synth decorativi sono l'architettura ritmica dei primi successi, tutti prodotti “in famiglia” da amici e/o fidanzati dell'aspirante star.Into The Groove è un deciso cambiamento nella trama ritmica delle tracce più dance-oriented. I bassi balzano in primo piano, disegnando la linea portante del pezzo. I pattern si son fatti più secchi, dritti ed europei forse assorbendo la lezione dell'Hi-NRG (tratti peraltro già accennati in “Burning Up”). Gli intrecci multi-strumentali sono ridotti all'essenziale e così lo è la variazione ritmica interna al pezzo (solo il bridge segna un'alterazione sostanziale della linea di basso).Madonna ha le idee più chiare, è in grado di scegliere cosa le è necessario e cosa no. Stringe i legami con l'amico e produttore Stephen Bray, suo collaboratore fin dai primi demo, e assieme a lui decide di smarcarsi dagli schemi disco ormai in declino.Express Yourself, sempre con Bray in cabina di regia, procede sulla via del sound anti-funky. Incorpora però più elementi percussivi: handclap, tom tribali, squittii di synth. La linea dei bassi è meno prominente e aggressiva. Lo scopo è un groove festante, neo-hippie, in assonanza ideale con la seconda Summer of Love britannica (peraltro piuttosto distante come coordinate musicali).Ray Of Light segna l'effettivo ricongiungimento con l'altra sponda dell'oceano (nella storia parziale offerta da questa compilation). Affascinata dalla trance neo-psichedelica, dal trip-hop, dal big beat, Madonna chiama a sé William Orbit, che rimaneggia l'acustica "Sepheryn" del duo settantiano Curtiss Maldoon trasformandola in una cavalcata siderale tra le epoche. Chitarra in loop, onde di synth, vortici d'organo ed echi di “Good Vibrations”: tutto diventa dettaglio ritmico e contribuisce al groove ipnotico del pezzo. Il trip di base, però, è uno schema cassa-rullante ossessivo e seminascosto, rotto solo sporadicamente da infiltrazioni di quell'Amen Break che è fondamento tanto dell'hip-hop quanto del drum'n'bass e del big beat.Music è di nuovo un colpaccio. Affiancata questa volta dal franco-afghano Mirwais Ahmadzaï, Madonna punta su beat più secchi, scuri, sintetici: l'obiettivo non è più un sound spaziale, ma un groove esasperatamente digitale. Senza per questo prendere le distanze dal feeling europeo e psichedelico.Vocoder, synth e inserti vocali estranei, dunque, ma soprattutto figure ritmiche più frastagliate e sfacciatamente elettroniche. Ne risultano schemi altrettanto frastornanti, ma orgogliosamente metropolitani, lontani dalla spiritualità hi-tech di “Ray Of Light”.Sorry vede Madonna colmare una sua lacuna d'infanzia, il mancato flirt con i groove circolari di moroderiana memoria. Di pari passo va la riscoperta di ritmiche funky, trasfigurate in un mix robotico di 2/4 dritto e charleston in levare.Ma il vero scopo di Madonna è ricreare la sensazione del DJing dal vivo. Dopo avere più volte testato la traccia mettendosi alla consolle nei club, eccola allora con l'acclamato Stuart Price portare in primo piano fading e alterazioni del volume, creando un gioco affascinante di tensioni e transizioni.Celebration è il singolo di lancio di questa compilation. Intuendo il ritorno in voga del sound eurodance, Madonna convoca il guru della trance anni novanta Paul Oakenfold e sceglie questa traccia fra una rosa di quindici. Il groove unisce il sound nitido di Pro Tools e schemi anthem house, con un tema ascendente di synth a reggere il gioco accanto alla cassa four to the floor.Che questa sia la strada giusta per il futuro corso di Madonna è ancora da dimostrarsi. Di certo, è l'ennesimo colpo mandato a segno, che sembra aprire alla definitiva riabilitazione del 90s style.
3. L'economia dell'impero
(“Beautiful Stranger”, “Don't Tell Me”, “Hung Up”, “Four Minutes”, “Revolver”)
Madonna la cannibale, Madonna la despota illuminata. Ha saputo per venticinque anni circondarsi delle persone più adatte per mantenere ed estendere il suo dominio. Si è cibata della musica e del talento degli altri trasformandoli in parti di sé e, al contempo, garantendo loro pubblicità.Madonna e i sample, Madonna e i featuring. Un percorso attraverso cinque pezzi che non formano una storia, ma lo spaccato di un panorama più vasto.Beautiful Stranger, colonna sonora di “Austin Powers 2”, sempre Orbit alla produzione. Due i pezzi depredati: “In Crowd” dei The Mamas and the Papas (loop di basso e batteria) e “She Comes in Colors” dei Love (struttura e idee melodiche). Il risultato del taglia e cuci è un perfetto pezzo sunshine pop, leggero e raffinato nelle melodie. Ne rafforzano l'appeal il piglio dance, un superbo assolo di flauto e ondeggiamenti trance figli di “Tomorrow Never Knows” e “Within You Without You”.Un'opera di revival dunque, che però non si limita al plagio più becero. Al contrario, fa tesoro degli spunti stilistici Sixties per traghettarli nel nuovo circo trance-pop messo in piedi da Madonna e Orbit.Don't Tell Me nasce da “Stop” una composizione del cognato di Madonna, Joe Henry. Si tratta in origine di un pezzo country-soul, mesto, jazzy e ricco di inflessioni latino-rock. Madonna ne intuisce il potenziale grazie a un demo registrato con la sorella da Mirwais Ahmadzaï. Insieme, Madonna e Mirwais lo stravolgono da cima a fondo: attorno a un sample di chitarra acustica tagliato bruscamente, costruiscono un country-glicth ipertecnlologico che si sposa coi suoni secchi e urbani di “Music”. Il loop di chitarra procede in una selva di dinamiche stop/start e variazioni ritmiche indotte dall'uso esasperato del cut'n'paste. Ogni venatura malinconica sparisce, lasciando il posto a un'irriverenza hip-hop che la trascina all'ennesimo successo in patria (e in Italia).Hung Up è frutto dello stessa passione per il DJing che alimenta anche “Sorry”. Per la loro rilettura postmoderna dell'eurodisco, Stuart Price e Madonna addocchiano il tema tastieristico di “Gimme! Gimme! Gimme! (A Man After Midnight)” degli Abba. Per ottenere il permesso di utilizzarne il sample, Madonna invia in Svezia un emissario con lettera manoscritta di suppliche e apprezzamenti ai due autori del quartetto, riuscendo nell'impresa. Il pezzo che ne esce, un successo planetario che le vale l'apparizione nel Guinness dei Primati, è comunque molto diverso per melodia e struttura dalla fonte del campionamento, sebbene lo stile ritmico ne contenga richiami velati (e voluti).Perché allora insistere tanto sul sample? Intanto, banalmente, la frase melodica degli Abba era stata il fulcro della canzone fin dalle prime fasi compositive. E sostituirla con un motivetto simile? Sarebbe stata una possibilità ovvia, ma avrebbe privato il pezzo del suo migliore trampolino di lancio: un tema e un sound già noti, sedimentati nelle orecchie del pubblico (consapevole o meno di averlo già sentito una marea di volte). E, inoltre, una catapulta automatica verso l'epoca che Madonna intende rievocare, “portando indietro il tempo” come suggerito dal ticchettio che apre la canzone.4 Minutes è un ménage à trois fra Madonna, il cantante Justin Timberlake e il produttore Timbaland. Da subito criticata per il ruolo secondario svolto da Madonna nella canzone (qualcuno scrisse di un “featuring Madonna” piuttosto che “featuring Justin Timberlake”), è dimostrazione della capacità di Madonna di farsi piccola nel breve termine quando questo possa portare un guadagno sul lungo termine. Il pezzo è retto dalle piroette r'n'b della voce di Timberlake, dal suo timbro vocale versatile e dall'imponente carrozzone kitsch imbastito da Timbaland: fanfara di ottoni (trattata elettronicamente per darle un suono più urbano e adatto ai club), groove Bollywoodiano e volgari incursioni vocali di stampo hip-hop.Ne esce un numero torpido, asfissiante e sensuale, che tralaltro sembra riprendere “Hung Up” nell'impiego del ticchettio d'orologio agli estremi della canzone. Probabile che il calco sia voluto: porre i due pezzi in continuità ideale ha l'aria dell'oculata strategia di marketing per lanciare il singolo.Revolver è il secondo inedito contenuto nella compilation. Madonna è qui affiancata dal rapper Lil Wayne e dal produttore Frank E. Il pezzo è un r'n'b spigliato con voce filtrata, giocato sulla monotonia vocale e sulla cortina elettronica dei sintetizzatori. Efficace, notturno e di nuovo un po' volgare, si avvale della collaborazione vocale di Lil Wayne solo in un breve interludio e sul finale, unicamente per tirare in lungo il pezzo e renderlo più adatto all'impiego nei club. La star assoluta è di nuovo Madonna, sebbene la canzone sia stata composta originalmente dal rapper.
4. Coda
Madonna esiste solo negli specchi. Questi specchi sono i suoi dischi, e “Celebration” è il più perfetto, perché più di ogni altro crea l'illusione di un personaggio a tutto tondo. Come ogni specchio, anche “Celebration” mente e distorce, nascondendo per esempio alcune importanti evoluzioni di metà anni novanta.Ma lasciamo alla regina del pop il potere di presentarsi ai suoi sudditi del 2009 con l'immagine che preferisce. D'altronde, è quello che ha sempre fatto.