Ci sono libri che raccontano grandi storie, altri che parlano di amori. Nevermind parla di questo, ma anche di anni, di anime infrante, del tempo che è stato e di quello che non sarà più. Questo è: “Nevermind storie e canzoni degli anni ’90”.
Per usare le parole di Marco Zarfati, curatore dei 31 racconti che compongono il libro oltre che autore di uno di questi, “gli anni '90 rimangono nel cuore di chi li ha vissuti per tanti motivi”, come nel cuore rimangono le musiche di quegli anni. Ogni racconto è infatti ispirato da una canzone e ne respira a pieni polmoni l’atmosfera, restituendola sotto forma di parola.
Le canzoni presenti, come i sentimenti umani, sono uno strano miscuglio, quasi dissonante nella diversità che le contraddistingue. A volte leggere altre pesanti. Ma sempre evocative.
Si passa dagli immortali Nirvana al sound emiliano di Ligabue. Si attraversa la provincia americana di Alanis Morissette per arrivare in Europa dagli Oasis. Si viene pervasi dal rock duro degli Smashing Pumpkins e poi coccolati dagli U2.
Spazio ai racconti però, primo fra tutti quello di Andrea Loquenzi Holzer, ispirato da “heart shaped box” dei Nirvana, e che costituisce anche l’apertura del libro. In queste poche pagine si entra nel mondo di Lorenzo (e di Madeleine), un mondo fatto di disincanto, di futuri svaniti e di vite che si interrompono bruscamente, lasciando un vuoto duro da riempire per chiunque.
Alessio Romagnoli, stimolato da Samuele Bersani e la sua “Chicco e Spillo” racconta la storia di due fratelli, Marco e Francesco, immortalati in una notte un po’ troppo brava. I due, diversi ma uniti da un destino comune inseguiranno la terra promessa, distante solo qualche minuto di motorino da casa loro. Giungeranno ad altro, trovando in un istante la pace cercata.
“Elderly woman behind the counter in a small town” dei Pearl Jam traina poi il racconto di Marco Zarfati. L’ambiente è luminoso, siamo in un paesino di mare dove, dopo tanti anni, sul retro di un bar, si ri-incontra una storia d’amore. I due protagonisti, attori di una recita il cui copione è a lieto fine, parlano poco, ma ogni silenzio riempie le pagine rendendo l’immagine un solo viso.
Sarajevo. Guerra. Antonio Gioia, aiutato da “Cupe vampe” dei C.s.i. tratteggia la linea oscura al di sotto della quale si agitano anime e corpi inquieti, alla disperata ricerca di un modo per sopravvivere. Alla guerra come agli sguardi pietosi degli operatori umanitari. Opprimente, tetro e drammatico, è il vissuto di una famiglia orfana della propria abitazione e delle proprie radici.
Come se la caduta del muro di Berlino, avvenuta nel 1989, avesse creato una spaccatura nel modo di vivere, gli anni ’90 rappresentano una opportunità di nuovi inizi, per chi li ha vissuti come per chi li ricorda. Questo il succo del libro.
Si capisce, leggendolo, che tutti gli scrittori hanno un vivido ricordo di quei tempi e, in qualche modo, possono dire “io c’ero”, facendo venire voglia - anche a chi ancora non lo avesse fatto - di tornarci, almeno con la mente.
Insomma, si trova una grande difficoltà a staccarsi da questo libro. Scorrendo le pagine scatta il meccanismo della dipendenza, anche noto come “ancora uno e poi smetto”, ogni canzone scatena fantasie e immagini mentali che difficilmente spariranno dai vostri occhi, e dalla vostra anima. Benvenuti (e bentornati) negli anni ’90. E Chissenefrega (Nevermind).