Il successo strepitoso di Lady Gaga, ultimo fenomeno pervenuto del pop planetario, dimostra due o tre cose non del tutto scontate su come funziona lo star system. La prima è che soltanto l’abito fa il monaco. La seconda è che niente è più sorprendente e spiazzante del già visto e rivisto. La terza discende dalla seconda, ed è che nulla va mai dato per superato, perché nel grande maelström dell’industria dello spettacolo, della musica, della moda, e di tutte queste cose mescolate insieme, a dimostrarsi più vitale è proprio quello che ancora ieri poteva sembrare decrepito e dépassé.
Per tutti questi motivi – oltre che per l’imponderabile legge dell’“uno su mille ce la fa”, ma in questo caso si tratta di uno su svariati milioni – una discreta ma non eccezionale performer musicale italoamericana poco più che ventenne, dotata di molta verve ma non di eccezionale avvenenza, nonché di voce educata e di una certa cultura musicale, in meno di due anni è diventata un fenomeno mondiale, ha conquistato tutto il conquistabile, si è insediata nelle classifiche discografiche e nell’immaginario dei ragazzini – ma non solo – di cinque continenti, e non ha alcuna intenzione di muoversi di lì, se non per raddoppiare.
Il fatto è che Lady Gaga è un’antologia vivente (anzi, un’iper-antologia) di tutto quello che la cultura pop ha prodotto negli ultimi decenni, e di tutto quello che a sua volta era già la rimasticatura e la trasfigurazione dei temi più frequentati del cinema, della musica, della moda dell’intero Novecento. Guardarla e riconoscere qualcosa di familiare è la stessa cosa, ed è molto rassicurante. Rassicurante come una citazione dimenticata che improvvisamente torna alla mente. “Sono famosa da sempre, solo che voi non lo sapevate ancora”, dice di sé Stefani Joanne Angelina Germanotta, alias Lady Gaga.
Lo stesso nome che si è scelta è una dichiarazione di intenti, oltre che una vistosa e perdonabile bugia. “Radio Ga Ga”, come è noto, è il titolo di una canzone dei Queen del 1984 (la futura Lady gaga aveva due anni) lanciata dal famoso video che mescolava le immagini in bianco e nero di “Metropolis” di Fritz Lang con quelle del cantante Freddie Mercury, il torso nudo, ancora non scavato dall’Aids, fasciato di bende rosse, come appena liberato da chissà quale prigionia. Il testo di “Radio Ga Ga” parlava dell’amore per la radio, della sua insostituibilità: “Guardiamo gli spettacoli, guardiamo le star in video per ore e ore. Non abbiamo quasi bisogno di usare le orecchie… Speriamo che tu non ci lasci mai, vecchia amica. Abbiamo bisogno di te come di tutte le buone cose… Quando saremo stanchi di tutte queste cose in video”.
Era, quello dei Queen, un video che smentiva se stesso, come nel paradosso del cretese che dice: “I cretesi sono tutti bugiardi”. Ed ecco che, un quarto di secolo dopo “Radio Ga Ga”, Lady Gaga rinverdisce il paradosso del cretese: è l’allegra ambiguità, tutto e il contrario di tutto, la femminilità stereotipata e la gayezza sbandierata (“Dirò solo che sarei una ragazza felice se riuscissi a far diventare gay il mondo intero”).
Lady Gaga racconta che le piace il sesso con le donne ma che si innamora solo dei maschi. E quando monta il gossip sul suo presunto ermafroditismo, nega ma non troppo. Al punto che Katy Perry, la popstar diventata famosa con “Ho baciato una ragazza e mi è piaciuto”, l’ha accusata di volersi fare pubblicità con uno scandalo ben calcolato. Un pulpito, quello della Perry, non propriamente adatto a certe prediche. Ma tutto fa brodo e fa personaggio, tutto serve alla calcolatissima fama di cattiva ragazza, con tanto di spogliarelli per mantenersi agli studi e di cocaina recapitata, una dose al giorno, nel suo appartamentino di New York (ma ora è acqua passata). Lady Gaga è il nuovo che rimescola il vecchio e il vecchissimo, tanto che il gioco delle genealogie (a chi assomiglia? Chi imita? A chi si richiama? Di chi è erede?) diventa ben presto sfiancante e del tutto inutile per capire il fenomeno. Il fatto è che Lady Gaga “ha preso un po’ di tutto da tutti, e quel tutto lo ha mescolato e rivisitato – dice il critico fogliante Stefano Pistolini – e per questo va considerata una sorta di perfetto prodotto ‘post’, nel quale l’elemento musicale appare francamente secondario, perché quello che conta è la rappresentazione”.
Allora, molto più della citatissima Madonna, nel cocktail di tendenze e di rimandi incarnati da Lady Gaga, dice ancora Pistolini, “conta la televisione degli ultimi vent’anni e contano i centri commerciali e la sottocultura della provincia americana. Lady Gaga è un prodotto di fine epoca, di coda, residuale. E’ un’installazione, è l’enfatizzazione di tutto quello che è stata la cultura dei videoclip. Non è soltanto una figurina per ragazzini, ma è davvero trasversale: piace ai ragazzi, ai trentenni, ai vecchi, ed è ovviamente molto amata dai gay”. Per giunta, chi la vede come la nuova Madonna “non capisce che Madonna è uno dei tanti rimandi possibili, oltre che molto meno importante, nell’immaginario americano, di quanto non siano personaggi come Shakira o Gwen Stefani. Madonna è un’icona classica, ancora legata a un’idea di divismo hollywoodiano, e rimane sempre lei, anche se ogni tanto cambia colore di capelli. Le sue mutazioni sono minime.
Lady Gaga invece è un cartone animato, è un videogioco, è il fumetto di se stessa. Gioca a diventare bellissima e bruttissima, maschio e femmina, nasconde la faccia mostrandola ed enfatizzandola: occhioni, bocca esagerata, capelli incredibili. E in quel mascheramento continuo dimostra una grande creatività”. Il paragone più calzante, conclude Pistolini, è semmai con “Marilyn Manson, perché quello che lui faceva una quindicina di anni fa è ciò che oggi Lady Gaga ripropone, rielaborato, preso in giro, liquidato”. In Lady Gaga c’è la vena dark, lo splatter, il sangue. “Sono affascinata da famose star del cinema che muoiono tragicamente”, ha confessato la popstar in un’intervista. La stessa in cui, a domanda: “Che cosa stai leggendo in questo periodo?”, ha risposto: “La Bibbia”.
di Nicoletta Tiliacos
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