Ossessione Lady Gaga

Chiara Meattelli

Londra. «Sono famosa da sempre solo che voi non lo sapevate ancora». Così Joanne Stefani Germanotta, in arte Lady Gaga, 23 anni, sintetizza alla perfezione il fenomeno pop più eclatante dai tempi d’oro di Madonna. Ieri sera, alla O2 Arena, ha chiuso l’ultima delle due date londinesi lasciando il pubblico prostrato dal ballo e con il fiato sospeso per due ore intere. Il suo “Monster Ball tour” è uno spettacolo diviso in quattro atti in cui ricostruzioni di Manahattan, pianoforti infuocati, mostri marini robotizzati, danze erotiche e filmati stomachevoli si alternano a un incessante ritmo electro-pop dai volumi assordanti.

Una scenografia nuova di zecca, perché quella varata nel tour americano l’aveva già «stancata» e il suo team ha fatto salti mortali per accontentarla. Fra il pubblico londinese, poi, è in corso una gara su chi abbia il vestito più indecente: tutti intenti a emulare la star più provocatoria del momento. Ma se i cambi d’abito non sono una novità nei kolossal pop, Lady Gaga è riuscita a portare la faccenda a tutto un altro livello. Non tanto per quell’abito assurdo che esibisce - a metà tra un lampadario e uno yeti - ma perché il suo show è un’opera da guardare, un disco-museo danzante. Tanto che il paragone con Madonna risulta limitante: Lady Gaga, autrice, stilista e scenografa di tutto ciò che si vede e si ascolta, ha per modello addirittura Andy Warhol, massimo esponente del movimento pop art.

Quando si siede al piano per suonare ballate come “Brown Eyes” e “Speachless” dedicata al padre, viene da pensare che la Germanotta avrebbe successo qualsiasi musica suonasse, le verrebbe semplice persino fare la cantautrice impegnata. Ma a vincere sulla musica è il personaggio: gamba allungata sopra la tastiera, mezzo metro di stivale nero di pelle, uno stile che ricorda i suoi esordi di artista burlesque nelle notti del lower East Side. È stata dunque la sete di successo, “The Fame”, come s’intitola il debutto che le ha fatto vendere milioni di copie dal 2008, a spingerla a comporre quei motivetti pop irresistibili e testi sfacciatamente superficiali che inneggiano al mondo di plastica del denaro, della bellezza e sessualità libera. Dopotutto lo dice lei stessa al pubblico di Londra: «Conoscete Peter Pan? Ecco, io sono come Campanellino, se non mi applaudite le mie luci si spengono». Poi urla a squarciagola: «Fatevi sentire se non volete che muoia!» e ottiene un boato assordante di ritorno. Da far diventare il «siete caldi?» di Madonna un copione per popstar dilettanti.

Lady Gaga ringrazia il pubblico incessantemente, chiama i propri fan «piccoli mostri», come legge il vistoso tatuaggio sull’avambraccio, fresco di pochi giorni, e spesso tradisce uno sguardo ancora incredulo del suo successo.

Nata a New York da genitori italo-americani, Stefani Germanotta è cresciuta con un’educazione musicale classica, imparando il piano da piccola e poi frequentando ad un’età precoce la prestigiosa università d’Arte Tisch School a NYU. È stato allora che ha cominciato a elaborare una forma di espressione che le permettesse di unire musica, arte, sessualità e celebrità. Poi nel 2006, quando ha ancora i capelli bruni e un sound simile a quello di Alanis Morissette, l’idea diabolica di chiamare un agente del music business, fingendosi una pierre, e parlando di se stessa in terza persona con termini così entusiastici da convincerlo ad andare al concerto. Il resto è leggenda, con la trasformazione pop che l’ha vista prima scrivere brani per star affermate come Britney Spears, New Kids on the Block, Fergy e poi firmare i propri successi: “Poker Face”, “Paparazzi” e “Bad romance”.

Quest’ultima è anche la canzone con cui chiude la serata londinese, presentandosi all’interno di una palla di metallo e sigillando uno spettacolo innovativo, creativo, mozzafiato. Ed è anche il brano che l’anno scorso l’ha incoronata come la regina indiscussa del pop; non sarà facile dare un seguito ad una partenza in quinta come questa ma i suoi «little monsters» confidano saprà inventarsene un’altra delle sue.

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