
Cannes, 9 maggio 2011 - "Se gli eccessi sono di qualità ben vengano: fanno ricordare un festival", parola di Fremaux che mette così le mani avanti. Insomma i film normali sono come le famiglie felici: non fanno notizia; e anche la Croisette ha bisogno di scosse per illuminare l’evento che inizia proprio tra un paio di giorni.
"Non è tempo di happy ending". Probabilmente ha ragione Lars von Trier, il regista danese che a soli due anni dal discusso 'Antichrist' torna a Cannes con una pellicola in cui s’immagina che la Terra venga assorbita da un pianeta dodici volte più grande, esterno al sistema solare. 'Melancholia' non è un film catastrofico; almeno non nel senso hollywoodiano. Qui nessuno riesce a salvarsi anche se "c’è un lieto fine" come ha beffardamente annunciato l’autore, incalzato dai produttori spaventati dalle possibili ripercussioni sul mercato internazionale. In effetti lo spettatore assiste a un prima che ha tutto un altro sapore.
La fine del mondo inizia con un matrimonio, la sposa è Kirsten Dunst, il marito Alexander Skarsgaard, il padre John Hurt, la madre Charlotte Rampling, la sorella Charlotte Gainsbourg, il cognato Keifer Sutherland. Dietro ai brindisi, alle danze e ai sorrisi si nasconde un oscuro dramma che parte dalla famiglia e travolge l’intera umanità. La vicenda ruota intorno alle due sorelle la cui reazione davanti all’imminente tragedia è diversa e dipende, dalle opposte inquiete coscienze e dal passato che esse nascondono.
Anche se gli effetti non sono speciali il budget è tutt’altro che insignificante e le regole del Dogma sembrano appartenere a un tempo remoto e dimenticato. 'Melancholia' contiene un paio di scene madri, (chi non ricorda lo spietato incipit del suo ultimo film?) ben nascoste, che confermeranno l’atteggiamento dissacrante, oltre che visionario, di Lars von Trier capace di programmare con sadica maestria lucide sfide.
Di tutt'altro genere sono le provocazioni, già indicate come memorabili, che il Concorso propone con la giovane debuttante, Julia Leigh. "Andrai a dormire. Ti sveglierai. E sarà come se queste ore non fossero mai esistite". E’ questo il tormentone del suo film che a dispetto del titolo, 'Sleeping Beauty' poco trattiene dell’originale favola di Perrault e molto aggiunge di chiaro e esasperato stampo erotico. Algide ragazzine e signori attempati ne sono i protagonisti. Le serate si presentono tranquille tra calici di champagne che si sfiorano ma poi nelle notti torride si sprecano abusati cliché.
Ovviamente i possibili riferimenti a certa attualità sono puramente casuali; anche perché qui si parla di bordelli d’alto bordo dove giovani donne vengono coinvolte in giochi erotici limitless di cui, al risveglio, le belle addormentate non saranno neppure consapevoli. Con risparmio di noie e di denari per gli utilizzatori finali. Nell’azione si sprecano fantasiosi gudget che faranno gridare, per qualche minuto, allo scandalo. Personaggio principale è la giovane australiana Emily Browning ('La nave fantasma') studentessa di giorno e prostituta di notte.
Il bordello, anche se in questo caso siamo all’inizio del secolo scorso, è al centro di 'House of Tolerance' di Bertrand Bonello dove, tra le prostitute, appare anche la nostra Jasmine Trinca. Qui le efferatezze mescolano sangue, sudore lacrime e sperma. Chissà se le previsioni corrispondono al vero; in ogni caso questa larga presenza di case chiuse colora di un sapore retrò a questa edizione del Festival.
di Andrea Martini
http://qn.quotidiano.net/spettacoli/cinema/2011/05/09/502611-cannes_degli_eccessi.shtml