Amy Winehouse Il «diario» postumo della regina del soul

di Stefano Mannucci 
C'era un tale che le ripeteva: «Fatti furba».
Ma come si fa a dare consigli a una che viveva senza pelle addosso? Fatti furba, insisteva quello: «Non lasciare che l'alcol e la droga ti fottano la carriera». E il tizio non apparteneva all'Esercito della Salvezza, ma ai Rolling Stones, uno che si è fumato pure le ceneri di suo padre. Ma Amy non ha mai ascoltato i moniti di Keith Richards, e quando se n'è andata, nel cuore dell'estate, dopo una notte di solitudine da far annegare nell'ultima sbornia, è stato subito chiaro che l'avrebbero pianta in molti. Perché la musica non offriva da tempo una voce come quella di Miss Winehouse, capace di bilanciarsi senza rete sul sottile filo che separa e unisce Billie Holiday e Janis Joplin, il vertice del jazz vocale e quello del rock-blues, due esistenze tragiche come poi lo è stata la sua, morta per unirsi al macabro «Club dei 27», le star che si sono spente a quell'età, da Jim Morrison a Jimi Hendrix a Kurt Cobain, da Brian Jones a Janis stessa. Nel Terzo Millennio,Amy aveva fatto la differenza, senza aggiungere nulla di particolarmente nuovo - stilisticamente - se non una vertigine vocale retrò, intinta nella disperazione soul anni Sessanta, alla Sarah Vaughan, o nel pop felice di Dusty Springfield, sempre datato in quell'era aurea. Quello che aggiungeva la Winehouse era un senso incombente di pericolo, di precarietà personale, di fragilità, in tutto ciò che cantava. Era come ascoltare, sotto ogni nota, una timida richiesta d'aiuto. Per questo il pubblico si è innamorato di lei, e dopo la sua scomparsa è corso a ricomprare in massa i suoi due album, «Frank» e il celebratissimo «Black to black». Da almeno tre anni, si favoleggiava sulla pubblicazione del terzo: Amy ci lavorava a singhiozzo, una volta uscita dal centro di riabilitazione, finchè le forze l'hanno sorretta, lei che tra disordini alimentari e pene d'amore era dimagrita di quattro taglie. Ed eccolo, un cd postumo: ma non è quello che aspettavamo, compiuto e ricco di inediti. Questo è il diario post-mortem, il classico prodotto discografico per lucrare su leggenda e memoria. Però è bello, accidenti. Il padre, Mitch Winehouse (che ha dato il via libera insieme ai produttori Mark Ronson e Salaam Remi), dice che non riesce ancora ad ascoltarlo, ma che il risultato è sorprendente. Certo, non sarà mai abbacinante come avrebbe potuto essere il "nuovo" cd, con lei viva e vegeta. Qui si raschia fra i nastri perduti, gli scarti di studio, i provini, le versioni alternative di cose già sentite: con Hendrix sono andati avanti decenni a scavare, finché non hanno messo ordine sui diritti. In "Lioness: Hidden treasures" troviamo dodici pezzi, tra il 2002 e il formidabile duetto con Tony Bennett (già uscito sul disco del vecchio crooner) per "Body and soul". Amy ricanta una perla di Carole King ("Will you still love me tomorrow"), affronta ancora acerba "The girl from Ipanema"), fa diventare una ballad la movimentata "Valerie", gioca sbarazzina con gli anni Cinquanta in "Between the Cheats" (questo è un reperto dal Terzo Album Fantasma), si bilancia con Nas tra soul e rap in "Like smoke" e omaggia Leon Russell e Donny Hathaway in "A song for you". Struggente, quest'ultima, come un epitaffio. Quanta nostalgia in quella voce, così sensuale eppure già spettrale.