Superlativa Meryl Streep, è la signora Thatcher


Pellicola più attesa del weekend è “Iron Lady”, in sala dal 27. 
Film molto discusso, per almeno due ragioni: perché ha fatto storcere il naso agli inglesi, secondo i quali manca di uno spaccato politico e sociale approfondito, e perché sono in molti a giurare che quella della Thatcher è forse l’interpretazione che regalerà all’attrice americana il tanto sospirato terzo Oscar (dopo una valanga di nomination, che - inclusa l’ultima - arriva a 17, un numero che nessun attore, vivo o morto, ha mai raggiunto).
La regista Phyllida Lloyd, che già aveva diretto la Streep in “Mamma mia”, costruisce il racconto partendo da una Thatcher tutt’altro che all’apice del potere. Si è ritirata dalla scena pubblica e ha appena perso il compagno di una vita. La malattia che l’affligge – la demenza senile – comincia a manifestare i suoi primi sintomi. 
Nelle prime scene della sua grandezza rimane ben poco: la vediamo, dimessa, andare a comprare il latte, spettinata, senza che nessuno la riconosca. Ma quando nella sua testa riaffiorano i ricordi, allora, anche gli spettatori cominciano a seguire le vicende della donna che ha cambiato il corso della Storia contemporanea del Regno Unito e del mondo. Un politico dispotico ed inflessibile, in grado di annichilire qualsiasi forma di protesta popolare e ogni tipo di pregiudizio maschile. 
Nel film ci sono alcune delle frasi più celebri della Lady di ferro, che a proposito delle proteste del proletariato disse: “La medicina è dura ma serve ai malati”, e ci sono episodi importanti come la guerra con l’Argentina per la riconquista delle isole Falkland. Eppure non c’è mai un’analisi di grande respiro delle scelte politiche della Thatcher. 
Questo accade perché la Lloyd rimane concentrata sul punto di vista della donna Thatcher (forse per scelta) che non sui suoi ideali, sulle sue contraddizioni, sui suoi discorsi. 
Il film funziona più come ritratto intimista, che non come una biografia caratterizzata anche dal punto di vista storico e sociale (per fortuna).
E' innegabile che è la bravura della Streep a fagocitare qualsiasi tipo di tentativo, da parte della Lloyd, di allargare gli orizzonti del suo racconto. 
Una Streep in grado di annullare completamente se stessa e incarnarsi nel cuore e nella mente di Margaret Thatcher, facendola rivivere in ogni minimo dettaglio. 
Dall’accento british, agli sguardi che dondolano tra la compassione e la fermezza, dal sopracciglio circospetto alle esplosioni improvvise di humor. 
Francamente non basterebbero aggettivi, questa volta, per celebrare la bravura dell’attrice americana. 
Meglio tacere. Come si tace di fronte ad una perfezione (di ferro) che non ammette repliche!