Amazon e Google lanciano gli album a 25 cent

Qual è il prezzo giusto della musica su Internet? O meglio, esiste un prezzo giusto? Dagli Stati Uniti arriva la notizia dell’ultima provocazione di Google e Amazon che, più o meno contemporaneamente, hanno messo in vendita alcuni album recenti (tra cui Mylo Xyloto dei Coldplay (nella foto il leader Chris Martin) e We Own the Night diLady Antebellum) a 25 centesimi di dollaro. Avete letto bene: 25 centesimi per il download del disco intero. In euro: 19 centesimi. Un quinto del prezzo di un caffè, un sesto di un quotidiano.
E’ vero che si tratta di una promozione di breve durata e che Google e Amazon adottano questa strategia – per loro nettamente in perdita – con l’evidente obiettivo di recuperare un po’ di terreno nei confronti del leader del settore iTunes e di aumentare il traffico dei loro immensi centri commerciali virtuali, dove si vendono tante altre cose oltre alla musica (una necessità pressante soprattutto per Google, il cui digital hub Google Play – con ebook, giochi, applicazioni – è di fresca apertura).
Ma è anche vero che simili e appariscenti iniziative (che seguono l’offerta di Born This Way di Lady Gaga, che ai tempi dell’uscita Amazon lanciò al prezzo shock di 99 centesimi per l'intero disco) non fanno altro che confermare quelli che sono due trend ormai consolidati della musica online: la drastica riduzione media dei prezzi e soprattutto la loro libera e incontrollata frammentazione. Se per quarant’anni siamo stati abituati alla monolitica dottrina del prezzo unico, secondo la quale vinili, musicassette e cd dovevano costare più o meno tutti uguali (soprattutto le novità), con Internet stiamo assistendo a un processo radicalmente opposto.
Non è sempre stato così. Nell’ancora breve stagione della musica su Web, gli anni zero sono stati dominati dall'iTunes Store e dalla politica dei 99 centesimi a canzone (e 9,99 dollari a album), dettata da Steve Jobs e adottata più o meno da qualsiasi concorrente (con relative declinazioni locali: i 9,99 euro sul mercato europeo o le 7,99 sterline in quello britannico). Le major discografiche hanno lottato per anni contro questa rigidità, convincendo infine anche Jobs e iTunes ad abbracciare diverse fasce di prezzo: più bassa di 99 centesimi per il catalogo, più alta per le novità.
Ma come si sa, il controllo delle etichette sul mercato digitale è molto meno forte rispetto al passato analogico. E così, mentre il loro obiettivo era di abbattere il dogma dei 99 centesimi per guadagnare qualche soldo in più dalle novità, contemporaneamente i prezzi medi sono stati tirati verso il basso dall’azione congiunta di diverse forze: in primis, la concorrenza della pirateria e la natura stessa del digitale, che sta azzerando nella mente del pubblico il prezzo di qualsiasi contenuto che possa essere facilmente duplicato. Inoltre, le citate aggressive strategie dei competitor di iTunes e la diffusione di sistemi che mutano radicalmente l’esperienza musicale, come i servizi in streaming di Spotify, Deezer o Play.me (a 9,99 euro al mese per l’ascolto illimitato di milioni di canzoni, per l’utente non ha nemmeno più senso domandarsi il prezzo unitario dei brani; un parametro che è invece ancora importante per etichette e artisti, che guadagnano frazioni di centesimi per ogni canzone ascoltata).
Per rispondere alla domanda iniziale, sembra che oggi la musica non abbia più un prezzo giusto, fisso e universale. Questo è e sarà sempre più legato al singolo contesto, all’artista, al formato, alla campagna. Anche con curiosi effetti psicologici, per cui – magari attraverso la vendita diretta, sui social network o tramite strumenti di crowdfunding come Kickstarter – spesso gli artisti riescono a convincere i loro fan a pagare un prezzo superiore alla media per cofanetti, pubblicazioni esclusive, vinili e in certi casi anche album digitali.
Due considerazioni finali. Al solito, molti di questi sono ragionamenti sui massimi sistemi che prendono però spunto da casi specifici del mercato USA e, in certi casi, dell’Europa avanzata. In Italia, AmazonMP3 e la versione completa di Google Play (con gli album a 25 cent) non sono ancora accessibili. E anche se questi servizi aprissero i battenti, forse non potrebbero comunque offrire ai clienti italiani simili supersconti. Quando Amazon ha iniziato a vendere libri a prezzi ridotti nel nostro paese, sono passati pochi mesi prima che la pratica venisse dichiarata anticoncorrenziale e bloccata dalla legge Levi. Qualcosa del genere potrebbe capitare anche alla musica. Ma la tendenza generale sembra destinata a durare, e rafforzarsi, in futuro.