E ora a Mosca c'è la fila per entrare nella band delle Pussy Riot

Una delle militanti del gruppo sfuggita all'arresto si racconta
MOSCA
E adesso a Mosca per diventare Pussy Riot, c’è la fila. Altro che veline. Le teenager sognano di entrare nella punk band più scandalosa dell’anno. Anche dopo la condanna. E a quanto si mormora, tra le fan del gruppo ci sono anche le figlie di alcuni funzionari del Cremlino. Tutte pronte a infilare passamontagna colorato, abitini e calze fluo. «Ci scrivono ogni giorno per candidarsi, sempre di più, sul nostro indirizzo mail che è quello dove anche Bjork ha mandato la sua lettera. Sono tutte colte e istruite, di solito universitarie». A rivelarlo è «Shumaher», «rumorista» in russo, una delle Pussy della prima leva, il gruppo originario che contava 10 persone. La incontriamo in un luogo di arte frequentato dai moscoviti trendy. Il nomignolo per coprire l’anonimato, una delle regole del gruppo, per sfuggire agli arresti. Non può dire a quale delle azioni della band ha partecipato, ma in uno dei video mostrati al processo si distingue anche la sua voce. Si dice atea e uno dei suoi soprannomi, «ikonoklast», la dice lunga. È una delle più «anziane», 32 anni, e ha incontrato Madonna nel backstage prima del concerto in cui la star ha sostenuto le Pussy in carcere: «Un’idea sua, non nostra». Ora il gruppo si è allargato a una ventina, inclusi volti seminoti della piazza, insospettabili. Molte vengono dalla prestigiosa Università Lomonosov o dalla Scuola d’arti visuali Rodchenko della capitale, hanno partecipato alle proteste dello scorso inverno, fanno attività politica varia, anche nel giro Lgbt. C’è anche una fisica che crede in Dio, traduttrici e artiste.
Modelli di riferimento: band punk e attiviste come le Bikini Kill, Riot Girrlls, Guerrilla Girls. «Tutte possono essere Pussy Riot, anche tu», questo è il messaggio. Basta il passamontagna? «No, devi essere pronta a partecipare alle nostre azioni, anche le più rischiose»: ce ne saranno di nuove presto, promette, si danno ogni volta il cambio. «E ovviamente condividere le nostre idee». Quali? Il femminismo, dice Shumaher, che in Russia è quasi una parolaccia, o un peccato mortale come si è sentito in aula. Putin macho e machista, la Russia «patriarcale», «sessisti» anche Lenin e Stalin, ma non solo: «Il fulcro è la lotta contro l’autoritarismo. La Russia è avviata su una strada catastrofica. Non abbiamo una società con uno sguardo progressista, il potere si regge sulle vittime della propria attività e la gente in prigione… bisogna lottare contro questo». Obiettivo: allargare le proteste. Due delle sei partecipanti al blitz nella cattedrale, sfuggite all’arresto, si nascondono da febbraio, una sarebbe all’estero. Ma secondo Shumaher, «i servizi sanno perfettamente chi sono, e chi siamo noi, le altre del gruppo. Ci controllano i telefoni, leggono la nostra posta, un sistema classico del Kgb». Perché non le arrestano? «Non vogliono gonfiare ancor più il caso. Cinque ragazze belle e in gamba in gabbia, sarebbe troppo».
Diverse Pussy nei giorni del processo girellavano indisturbate intorno al tribunale. Ma Nadia, Katia e Masha, perdendo l’anonimato ormai «sono fuori dal gruppo». Nel frattempo si sono trasformate in un fenomeno mondiale, con imitatori dalla Finlandia a New York. A occuparsi delle pr, incontrando decine di giornalisti ogni giorno, e parlando in inglese alla Cnn, è Piotr Verzilov, giovane marito di Nadia Tolokonnikova e attivista con lei dal 2007 del discusso gruppo Voina. Si aspettava che sua moglie divenisse un’icona dissidente ricercata da Playboy? Intanto una galleria moscovita apre una mostra dal titolo «Arte sulle barricate» con tanto di libro: le Pussy vi fanno la parte del leone. «Sono artiste-attiviste, e devi essere pronto a tutto», dice Verzilov. Nemmeno una lacrima per la moglie in gabbia, la performance nella cattedrale è un successo: «Ha provocato enorme dibattito, che può accelerare il cambiamento, ecco il nostro scopo, questo è un momento cruciale per la Russia. E ormai anche le nonne di provincia conoscono le Pussy Riot». La rivoluzione passa anche per il pop.