Giunge improvvisa dalla Gran Bretagna una notizia che sconvolge appassionati di cinema e non. A soli 54 anni è morto il regista Anthony Minghella.
Di chiare origini italiane (il padre proveniva da un paese nei pressi di Latina), l'autore britannico si è imposto, dapprima, come drammaturgo ottenendo in patria innumerevoli successi e, in seguito, come cineasta, non dimenticando mai la sua passione per il teatro e la musica classica. Il primo film “Il fantasma innamorato” risale al 1991 e ha un discreto riscontro in Inghilterra e Australia, dandogli il lasciapassare per l’agognata Hollywood. Due anni dopo dirige il divo Matt Dillon in “Mr Wonderful”, una commedia sentimentale delicata che gli regala riconoscimento critico e interesse da parte dei produttori americani.
Gli viene perciò affidato un progetto ambiziosissimo, ovvero portare sullo schermo il complesso romanzo di Michael Ondatjje “Il paziente Inglese”. Con attori del calibro di Ralph Fiennes, Kristin Scott Thomas e Juliette Binoche, Minghella si dimostra oltre che un eccezionale direttore di interpreti anche un fedele ricostruttore di ambienti e atmosfere. La pellicola del 1996, inserendosi nel filone del melodramma bellico alla maniera de "Il dottor Zivago", narra la storia del ritrovamento in un casolare della Toscana da parte dell’infermiera canadese Hana di un agente del governo britannico sfigurato durante il secondo conflitto mondiale e del recupero, attraverso lunghi flash back ambientati nel deserto egiziano, della travagliata relazione amorosa tra l’uomo e un’affascinante donna sposata. Il lungometraggio guadagna ben dodici nomination all’Oscar (vincendone poi nove!) e Minghella ce la fa ad agguantare le statuette di miglior regista e miglior film al primo colpo. 

Nel 1999 l'autore decide di misurarsi con la riduzione del libro iniziale della saga, composta dalla dotata giallista Patricia Highsmith, dedicata al misterioso personaggio di Ripley. Nasce così “Il talento di Mr Ripley”, intrigante gioco di scambio d’identità girato per la maggior parte in Italia, da molti considerata la sua opera migliore. Minghella riesce, infatti, a creare un film ironico, teso, emozionante al quale i bravissimi Matt Damon, Jude Law, Gwyneth Paltrow e Cate Blanchett forniscono uno straordinario contributo, adeguandosi alla perfezione (grazie anche all’aiuto dei nostrani Sergio Rubini, Stefania Rocca, Ivano Marescotti e Fiorello apparsi in brevi ruoli) al clima spensierato e romantico che si respirava nel Belpaese negli anni Cinquanta. Nel 2004 esce l’atteso “Ritorno a Cold Mountain” (tratto dall’opera omonima di Charles Frazier), in cui Jude Law, Nicole Kidman, Renee Zellweger si confrontano con una vicenda drammatica di forte impatto visivo ed emotivo, situata durante il periodo violento della fratricida guerra civile americana. Il ritorno al genere epico non produce, però, i risultati commerciali ed artistici auspicati, anche se il lungometraggio rimane indelebile nella memoria per la bellezza dei panorami presentati, indubbiamente monumentali, e per l’elogio dei sentimenti che, superando ogni tipo di insormontabile difficoltà, rimangono intatti per tutta la vita e anche oltre.
Nel 2006 ritrova il suo attore-feticcio Jude Law nel thriller “Complicità e sospetti”, sicuramente non all’altezza dei lavori precedenti. Presidente del prestigioso “British Film Institute”, Minghella stava attualmente lavorando a tre progetti contemporaneamente per i quali aveva chiesto collaborazione anche al fratello (soggettista e sceneggiatore) e al figlio (attore).
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